Una strage di lavoratori, che fa notizia solo quando le modalità o il numero delle vittime muovono il sentimento popolare. Ma gli altri, quelli che muoiono alla spicciolata, sono invisibili, sperduti in qualche riga di cronaca nera e dimenticati il giorno dopo. Sono morti che svaniscono nella generale disattenzione per le norme di sicurezza. Da anni ormai figurano tra i morti anche tanti lavoratori stranieri, vittime irrimediabilmente destinate al silenzio.

Dopo la strage dell’Esselunga abbiamo sentito molte ipotesi sulle cause: i subappalti a cascata, i tempi delle lavorazioni sempre più veloci e pericolosi, la mancanza di controlli. Ma non si è sentita quella che tutte le precede: che cioè le aziende da sempre non rispettano le leggi sulla sicurezza dei lavoratori. In Italia dal 2008 è vigente un T.U. sulla sicurezza, una buona legge che da 15 anni viene regolarmente violata da piccole e grandi imprese: uno stuolo di imprenditori assolda mano d’opera in nero, con paghe spesso da fame, e li manda a lavorare in condizioni terribili con un unico ordine: sbrigatevi. Gli appalti, si è detto, sono la causa di tante morti. È vero: nelle catene degli appalti e dei subappalti si nasconde la quasi totalità del lavoro povero.

Per il Governo è venuto il momento di sciogliere questo nodo, con una soluzione semplice. Basta reintrodurre la parità di trattamento economico e normativo tra dipendenti dell’appaltante e dipendenti dell’appaltatore. Il contrario di quel che ha fatto il governo estendendo agli appalti pubblici l’insicurezza di quelli privati. Ma non si muore solo nei lavori di edilizia, si muore nelle fabbriche e nei campi, per violazioni sulle quali ci sono troppo pochi controlli degli organi di prevenzione. Ma i servizi di prevenzione delle Asl sono largamente insufficienti. In Italia gli addetti ai servizi di prevenzione nel 2008 erano 5.060. Nel 2019 si sono ridotti a 2.248. Oggi sono diminuiti ancora. In Lombardia, la regione con più morti sul lavoro, nel 2008 erano 993; nel 2022, 379. A Firenze 5 anni fa erano 73, oggi sono 44.

Con questi numeri ogni anno può essere controllato solo il 3% delle aziende. Chi ha ridotto in queste condizioni i servizi di prevenzione? Molti dei responsabili li abbiamo visti sfilare in Tv mentre dicevano solennemente: mai più stragi sul lavoro! Dunque è chiaro cosa bisogna fare: più addetti alla prevenzione degli infortuni; più ispezioni e più controlli; reintrodurre il principio di parità di trattamento economico e normativo tra dipendenti dell’appaltante e quelli dell’appaltatore.

E poi rompere il silenzio di Tv e giornali, manifestare, protestare, andare in piazza, perché 1.200 morti all’anno sono uno scandalo. E invece si sentono proposte cervellotiche. A Firenze un sindacalista lamentava che il ministro Nordio abbia detto no all’introduzione del reato di omicidio sul lavoro. Ma si tratta di un riflesso d’ordine per il quale, quando accade qualcosa di grave, si introduce un nuovo reato o si aggravano le pene. Ma lo sanno i sindacalisti qual è la pena prevista dall’art. 589 c.p. per l’omicidio aggravato dalla violazione delle norme di sicurezza? Da 2 a 7 anni di reclusione, se il morto è uno. Se sono più d’uno, la pena può arrivare fino a 15 anni. Ma si fanno pochi processi e quei pochi si concludono con pene ridicole, com’è accaduto per l’omicidio di Luana d’Orazio. Dunque non serve un altro reato, basterebbe applicare le norme che ci so no. Inoltre, alcuni sindacalisti reclamano l’istituzione della Procura nazionale del lavoro. A cosa serve? Bruti Liberati, ex procuratore di Milano, ha scritto in questi giorni: «Evitiamo di replicare l’insensato populismo di una nuova Procura nazionale per gli infortuni sul lavoro».

E ha ragione: mentre la Procura nazionale antimafia coordina le indagini delle varie procure su un fenomeno unitario (mafia o terrorismo), gli infortuni sul lavoro non hanno punti di contatto tra loro. Non perdiamo tempo a fare cose inutili. Proviamo, invece, a rompere il silenzio vile che avvolge le morti sul lavoro. Intanto, il Governo ha partorito il topolino che dovrebbe placare l’opinione pubblica: la patente a punti per le imprese, un colabrodo che non le seleziona affatto; la reintroduzione della sanzione penale per la somministrazione illecita di manodopera, la cui mancanza costituiva finora una vergogna; l’aumento degli addetti alla prevenzione, non delle Asl (come sarebbe logico), ma degli ispettori del lavoro, che da oltre 40 anni non esercitano competenze di prevenzione, i quali prima di essere pronti ci metteranno un bel po’. Il Governo gioca col fuoco.