Il viaggio in treno tra Ventimiglia e Mentone-Garavan dura solo 10 minuti ma custodisce sette anni di storia delle migrazioni dall’Italia verso la Francia. Da giugno 2015 ogni vagone che attraversa questo confine viene controllato dalla polizia francese che rimanda indietro chi non è in regola con i documenti. Di treni che da Ventimiglia vanno verso la Francia ce ne sono almeno tre o quattro ogni ora. I binari di partenza spesso sono controllati da polizia o carabinieri.

Anche mercoledì mattina un gruppo di poliziotti controlla a vista i movimenti in stazione. Quando il treno parte ci si accorge subito che viaggia a velocità ridotta. In questi sette anni decine di migranti si sono feriti o sono morti cercando di aggrapparsi al treno in corsa o percorrendo a piedi i binari della ferrovia. Quindi i convogli si muovono piano. In due punti c’è un ulteriore rallentamento: quando si passa sul ponte sopra al fiume Roja, che spesso viene usato anche dai migranti, e quando il treno entra nelle gallerie che anticipano l’ingresso in Francia. Nel buio potrebbe esserci qualcuno che sta camminando a lato dei binari.

Arrivato a Mentone-Garavan il treno si ferma per alcuni minuti e salgono a bordo tre/quattro poliziotti francesi: davanti, dietro e in mezzo al convoglio. I passeggeri che ai poliziotti sembrano irregolari, quelli che sembrano senza documenti, vengono fatti scendere e controllati sui binari. In questo viaggio è capitato a un gruppetto di quattro ragazzi e a due ragazze, tutti piuttosto giovani, probabilmente minorenni. Uno dei ragazzi sembra molto stanco e scosso, sulle spalle ha un asciugamano bianco, dai lineamenti sembra provenire dall’Africa centrale. Le ragazze sembrano mediorientali.

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Una volta fatti scendere dal treno vengono controllate generalità e documenti. A seconda dei casi, o del caso, se non hanno le carte in regola per proseguire il loro viaggio vengono rimessi sul primo treno per l’Italia oppure portati alla frontiera alta di Ventimiglia, a Ponte San Luigi, dove sono scaricati con in mano il foglio di respingimento dalla Francia e consegnati alla polizia italiana che, salutati i gendarmi francesi, dice ai migranti di avviarsi a piedi verso Ventimiglia. Un copione che si ripete ogni giorno. È la quotidianità del confine.

Quasi nulla è cambiato dall’estate del 2015, quando sugli scogli dei Balzi rossi che costeggiano il confine basso si erano ritrovati accampati centinaia di migranti respinti. Con la sospensione del trattato di Schengen, che la Francia non ha più ripristinato, tornavano i controlli di frontiera all’interno dell’Europa. Nei giorni scorsi questi si sono fatti più visibili e muscolari come ritorsione del governo francese verso quello italiano per la gestione della nave Ocean Viking della Ong Sos Mediterranée. La Francia usa il controllo del confine anche in base alle necessità di politica interna. I comuni del sud che confinano con l’Italia hanno visto crescere negli anni i consensi per il Rassemblement National di Marine Le Pen e ciclicamente il presidente Macron mostra i muscoli da queste parti.

Gli attivisti No Border italiani ricordano come nel periodo delle proteste dei Gilets Jaunes la frontiera era quasi sguarnita perché poliziotti e gendarmerie erano impegnati sul fronte interno. «Sono stati mesi nei quali i migranti passavano con relativa facilità perché i poliziotti francesi erano impegnati a pattugliare le strade, le rotonde e i luoghi occupati dai gilet gialli», ricorda Maria Paola Rottino dell’associazione Popoli in Arte. Poi, complici le elezioni presidenziali, i controlli sono ripresi in modo più consistente e la media dei respingimenti è tornata ad attestarsi sui 70 al giorno.

Un centinaio di persone è anche la media di quelli che si rivolgono ogni giorno alla Caritas di Ventimiglia che ha la sua sede proprio vicino alla stazione dei treni. «Ci sono anche minorenni perché i francesi cambiano la data di nascita sui documenti e li fanno risultare maggiorenni», racconta Maurizio Marmo della Caritas. Da Ventimiglia, tentativo dopo tentativo, quasi tutti riescono a varcare il confine. Quando però ci sono più controlli il rischio di farsi male aumenta e la via più battuta diventa quella della montagna, il cosiddetto Passo della morte. «Quando piove non partono, troppo pericoloso. Quando pioviggina come oggi può diventare un buon momento con meno controlli», mi dice un attivista italiano.

Il «Passo della morta» sbuca proprio a Mentone in uno spiazzo dove spesso staziona una camionetta della gendarmerie. Molti migranti tentano così di salire più in alto ma il costone di roccia conduce a un dirupo. Si contano una trentina di morti in questi sette anni. Dal sentiero si vedono in lontananza i grattaceli di Nizza e il futuro oltre il confine. Nei giorni scorsi dall’alto si vedevano anche le troupe televisive mandate a raccontare «il pugno duro» di Macron.

Poi, spente le telecamere, tutto è tornato alla sua tragica ordinarietà.