Osservare i ruderi della base Nato Loran a Lampedusa, in giorni di guerra, è come un monito alla caducità dell’idea che la militarizzazione sia la risposta per i problemi del nostro tempo.
L’antenna di oltre 190 metri, spazzata dal vento caldo che scuote l’isola, dagli anni 70 fino al 1994, è stata un occhio dell’Alleanza atlantica nel Mediterraneo. Oggi, che la Guerra fredda e Gheddafi sembrano solo uno sbiadito ricordo, è solo un cumulo di cemento, mentre venti di guerra scuotono ancora il mondo. Nel 1986, a pochi chilometri da Lampedusa, affondarono gli Scud lanciati dalla Libia. Oggi, proprio a Capo Ponente nella parte più occidentale e disabitata dell’isola, può nascere una proposta di pace. L’ex base Loran, infatti, si appresta a diventare un Centro Internazionale per la Pace. Un progetto lanciato dal Comune, che si connette al lavoro che da quattro anni – grazie al progetto europeo Snapshots from the Borders – ha visto Lampedusa protagonista della nascita del Border Towns and Islands Network, un consorzio di municipalità di frontiera in Europa, dall’Ungheria alle Canarie, dall’isola di Lesbo alle coste francesi di fronte alla Gran Bretagna, che vogliono darsi un’unica voce per portare alle istituzioni europee un messaggio chiaro: non siamo la periferia di nessuna politica decisa dal centro, ma che da decenni ricade sui nostri territori.

UN NUOVO PATTO, che permetta di restare umani di fronte alle stragi e ai morti di frontiera, ma che non abbandoni i territori di confine al loro destino. La periferia non vuole più essere, come Lampedusa, un destino, che nel caso dell’isola siciliana l’ha vista passare da campo di confino per i criminali del Regno d’Italia a quello per i prigionieri politici del fascismo, fino al confinamento dei migranti di oggi. Anzi, la periferia rilancia e vuole essere motore del cambiamento.

DOPO 4 ANNI di lavoro con il parternariato, l’amministrazione di Lampedusa rilancia, e lavora a un Centro Internazionale, che lavori a quel concetto di pace che è ineludibile: non solo l’assenza di guerra, ma il contrasto a tutte quelle condizioni dei contesti di origine che spingono le persone a fuggire. E allora al contrasto alla guerra si unisce la lotta al cambiamento climatico e alle disuguaglianze. Con il coinvolgimento della Regione siciliana e dei ministeri della Cultura e della Difesa, il progetto prevede il recupero delle vecchie strutture della base Loran e di altri vecchi fortini militari abbandonati dell’isola. A trasformarla sarà l’architetto Stefano Boeri, che è già stato sull’isola con collaboratori e consulenti. «Quando a Lampedusa parliamo di migrazione – ha detto durante il sopralluogo – parliamo di vite in movimento, di storie, dì identità che nei secoli si sono incontrate lasciando su quest’isola al centro del Mediterraneo tracce culturali e sociali profonde. Se è vero che le identità si costruiscono nel rapporto con l’altro, Lampedusa, l’isola delle Storie, può diventare l’epicentro planetario dì una riflessione sui destini dell’umanità».

«OGGI LAMPEDUSA ha iniziato un percorso nuovo: nel cuore del Mediterraneo si accende una voce di pace. Vogliamo che la nostra esperienza nell’accoglienza umanitaria, la nostra esperienza di isola di frontiera così come il nostro impegno per il rispetto dei diritti umani, si trasformino in proposte ed azioni in grado di creare occasioni di dialogo, solidarietà e cooperazione internazionale», ha commentato il sindaco di Lampedusa Totò Martello, in occasione dell’evento del 28 aprile che ha visto partecipare lo stesso Boeri, il presidente della Camera Roberto Fico, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto e molti altri. Giorno dopo giorno quest’idea cresce e si connette ad esperienze altre, mette in rete comuni e istituzioni, italiane ed europee. Il progetto cresce, con radici solide, e immagina un centro ricerche internazionali, poli museali e per eventi pubblici, conferenze e operazioni di mediazione internazionale. Il tutto molto legato alla vita dell’isola, che oggi è famosa in tutto il mondo per quegli ‘sbarchi’ e che vive di turismo, ma vuole fare delle migrazioni una risorsa culturale, anche per offrire ai ragazzi dell’isola un futuro potenziale. Perché, come ti raccontano sempre a Lampedusa, l’Italia si ricorda dell’isola solo quando le serve, ma per il resto fa sentire i residenti cittadini di seconda classe, sempre in lotta con il costo della vita e la difficoltà dei trasporti, costretti a essere migranti – ieri come oggi – gli stessi lampedusani, fosse anche solo per partorire o farsi curare.

Come da protocollo siglato tra comune di Lampedusa e Regione siciliana, il Centro vedrà la nascita anche di un auditorium, un museo con un archivio digitale per ospitare opere e anche atti performativi e narrazioni sul tema dei grandi flussi migratori e delle loro interrelazioni con le sfide del cambiamento climatico e della povertà. Previsti anche un sistema di laboratori e luoghi di studio e residenza per studiosi, ricercatori, artisti e testimoni della grande fenomenologia delle migrazioni che saranno ricavati dal riutilizzo dei fortini militari dismessi che perimetrano l’isola.

GUARDARE LE STRUTTURE abbandonate della base Loran e immaginare il futuro, come chi vive qui è abituato a fare guardando il mare e come chi viene dal mare guarda a Lampedusa.
Perché l’Europa, sempre più in crisi di visione e d’identità, non ha altra scelta che ripartire dai suoi margini per ritrovare sé stessa.