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Vent’anni al leader del Rif. E il Marocco si inventa la protesta anti-repressione

Vent’anni al leader del Rif. E il Marocco si inventa la protesta anti-repressioneProteste a Jerada – LaPresse

Marocco Condannato Nasser Zefzafi, sentenze pesantissime contro decine di attivisti della regione settentrionale. Ma c'è una forma di dissenso che Rabat non può fermare: da fine aprile milioni di persone boicottano le grandi aziende locali e francesi, Total e Danone in crisi nera

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 28 giugno 2018

Nasser Zefzafi è stato condannato a 20 anni di prigione. Il leader di Hirak al-Shaabi, il Movimento Popolare, nato nella regione montagnosa del Rif quasi due anni fa e agli arresti dal maggio 2017, è accusato di aver minacciato l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale.

La sua colpa è aver guidato le proteste spontanee esplode nell’ottobre 2016 nella città di al-Hoceima dopo la morte di un giovane venditore ambulante di pesce, Mouhcine Fikri, schiacciato da un camion dei rifiuti mentre cercava di recuperare il pesce che la polizia gli aveva confiscato e gettato via. Alle proteste, sempre più partecipate e figlie di una storica marginalizzazione della regione, Rabat aveva risposto con la repressione e decine di arresti.

Ieri le sentenze, pesantissime: oltre a Zefzafi, 20 anni sono stati comminati anche ad altri leader della protesta, Nabil Ahmijeq, Wassim El Boustani e Samir Aghid; pene tra un anno e 15 anni a 36 attivisti.

Una repressione che dal Rif arriva a Jerada, dove da mesi si protesta per il lavoro e migliori condizioni di vita: a scatenarle le morti di giovani marocchini nelle «miniere della morte», chiuse negli anni ’90 ma ancora visitate da chi cerca di racimolare qualche soldo.

A puntare il dito contro Rabat, a giugno, è stato Human Rights Watch che accusa le autorità di eccessivo uso della forza contro i manifestanti e di «soppressione del diritto alla pacifica protesta». Solo a Jerada dal 31 maggio sono stati arrestati 69 manifestanti, di cui tre minorenni.

Da cui la nascita di nuove forme di espressione del dissenso, impossibili da fermare: dalla fine di aprile è in corso in Marocco un diffuso boicottaggio popolare, senza leader, presente in tutto il paese (secondo L’Economiste il 57% dei marocchini lo sta attuando) delle aziende considerate legate alle autorità e accusate di alzare i prezzi in un periodo di inflazione galoppante.

Nel mirino in particolare tre compagnie: la francese Danone, la locale azienda di acqua naturale Oulmes e Afriquia Smdc, il principale fornitore di carburante del paese, di cui fa parte anche Total.

L’effetto è dirompente: la Danone ha perso in pochi mesi 16 milioni di dollari e la metà della sua quota nel mercato del latte fresco (tanto che l’ad Emmanuel Faber è volato nei giorni scorsi a Rabat dove ha ammesso che ci vorranno anni per riprendersi dalla crisi), la Total il 10% delle vendite.

Non mancano le contraddizioni: le aziende colpite stanno riducendo il personale (solo la Danone ha licenziato il 30% dei dipendenti stagionali) provocando le proteste di migliaia di lavoratori. Sul lungo periodo potrebbero generare conflitti interni significativi.

Ma la formula resta vincente: evita la repressione e mostra alle classi più povere il potere che esercitano sui giganti dell’economia e sui rapporti insani che hanno con i vertici politici: il proprietario di Afriquia è Aziz Akhannouch, l’uomo più ricco del Marocco, potente ministro dell’Agricoltura e leader del partito di centrodestra Rni; Oulmes è guidata da Miriem Bensalah Chekroun, ex presidentessa della Confindustria locale.

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