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Venezuela, contro le destre «parlamento comunale»

Venezuela, contro le destre «parlamento comunale»

Venezuela L’Assemblea nazionale chavista prova a «rivoluzionare» le istituzioni, ripartendo «dal basso»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 18 dicembre 2015
Geraldina Colotti INVIATA A CARACAS

Le destre vincono? Tutto il potere ai «soviet», ovvero al «parlamento comunale». Lo ha deciso ieri l’Assemblea nazionale del Venezuela, ancora a maggioranza chavista. Il parlamento comunale è l’organo di autogoverno delle comunas, istituzioni territoriali composte da diversi consigli comunali (45.000 fino a oggi). Organismi che decidono in maniera autonoma come gestire il «bilancio partecipativo», approvato dal Ministero delle Comunas in base alla Ley Organica de las Comunas, approvata nel 2010.

Le comunas sono attualmente circa 1.500, ma ogni giorno se ne registrano di nuove e spingono per articolare nel mutualismo l’indirizzo dello stato centrale. «Contro il parlamento borghese, più potere al parlamento comunale», ha detto il presidente dell’assemblea Diosdado Cabello, esprimendo solidarietà alla storica Madre de Plaza de Mayo, Ebe de Bonafini, che l’imprenditore Macri vuole portare a processo in Argentina per istigazione alla violenza.

Le legislative del 6 dicembre hanno consegnato alla Mesa de la Unidad Democratica (Mud) 112 seggi contro 55, sui 167 complessivi. Numeri che consentono all’alleanza di 18 partiti (che va dall’estrema destra a residui troskisti) di calare la scure sui servizi pubblici e sui diritti del lavoro, applicando le ricette del Fondo monetario internazionale. Di fronte alla sconfitta (la seconda in 17 anni e 20 elezioni), il presidente Nicolas Maduro ha chiesto ai suoi di dimettersi da tutti gli incarichi e di ascoltare «la voce del popolo» per realizzare una profonda revisione. Dalle piazze al parlamento, dalla sede del Psuv a Miraflores, il Venezuela è così tornato a essere un paese «in assemblea permanente».
Cabello continuerà le sessioni fino al 4 gennaio 2016. Il giorno dopo arriverà la destra, che – in assenza di maggioranza interna – sta litigando per gli incarichi: Primero Justicia (Pj) ha 33 deputati, Accion Democratica (Ad), 25, Un Nuevo Tiempo (Unt), 21 e Voluntad Popular (Vp) 14. Per la presidenza del parlamento dovrebbe spuntarla Henry Ramos Allup (Ad, navigato politico della IV Repubblica) e alla vicepresidenza dovrebbe andare Delsa Solorzano (Unt). Julio Borges, coordinatore nazionale di Pj, sarebbe rimasto fuori. Per i successivi quattro anni, è prevista una rotazione per «consenso».

I finanziatori interni della Mud – le associazioni padronali e dei commercianti – hanno diffuso il loro programma, che coincide con le proposte di legge annunciate in una conferenza stampa dai vincitori: mano libera alle imprese private, azzeramento degli espropri, delle nazionalizzazioni e della legge sul lavoro, ripristino del latifondo mediatico e terriero, abolizione dei contratti di solidarietà con l’America latina e i Caraibi. In pratica, le ricette del Fondo monetario internazionale, le stesse che in Argentina Macri – grande sponsor delle destre oltranziste venezuelane – ha già cominciato ad applicare, provocando un’ondata di indignazione popolare.

Gli oltre 5,700 milioni che hanno votato per il chavismo e anche quelli che, da sinistra, hanno castigato con l’astensione la «boliborghesia» (la borghesia bolivariana) e i burocrati dei ministeri, ora stanno facendo sentire la propria voce. Il Psuv resta il primo partito, a oltre 20 punti dal primo della Mud. Maduro ha aperto le porte di Miraflores al «poder popular», e convocato tutti i Consigli presidenziali, organismi di proposta diretta istituiti a dicembre dell’anno scorso. «Maduro, aguanta, el pueblo se levanta» (Maduro, resisti, il popolo insorge), gridano operai, studenti, donne e collettivi Lgbt, che chiedono di accelerare «la revolucion».

Una rivoluzione «pacifica», precisano i dirigenti. Le armi per difendersi dal ritorno delle destre – che hanno provocato la guerra economica e se ne sono serviti per capitalizzare lo scontento – sono quelle offerte dalla costituzione, sostenute dalla mobilitazione popolare. I cinque poteri che compongono l’architrave istituzionale fungono da contrappesi interni in un sistema presidenziale che definisce in questo quadro le facoltà del parlamento.

In un affollato convegno nel Teatro di Caracas, alcuni costituzionalisti che hanno scritto la Carta magna durante l’Assemblea Costituente del 1999, poi sottoposta a referendum, hanno ricordato che il «potere cittadino» è quello che, in definitiva, deve dare il via alle decisioni delle destre. La Mud può decidere di inabilitare il presidente, azzerare leggi e incarichi, ma poi deve rendere conto al «poder ciudadano».

Una funzione centrale è svolta dal Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), a cui il presidente può ricorrere per risolvere i conflitti tra legislativo ed esecutivo. Cabello ha annunciato la nomina dei 12 magistrati che lo compongono, che possono essere eletti con maggioranza semplice qualora, dopo varie votazioni, non si raggiunga quella dei due terzi.

La costituzione prevede anche che se l’assemblea approva per tre volte nella stessa legislatura la rimozione del vicepresidente, il presidente può sciogliere il parlamento. L’attuale assemblea ha anche facoltà di prolungare per un altro anno il permesso al presidente di decidere per decreto, neutralizzando in parte l’offensiva neoliberista.

Intanto, il Psuv ha presentato al Consiglio nazionale elettorale (Cne) una denuncia contro componenti dell’estrema destra, di Primero Justicia e Voluntad Popular: per la compravendita di voti, per discriminazione verso indigeni e movimenti Lgbt e per gli accordi con le mafie paramilitari, registrati in un video diffuso ieri. «La malavita non vuole il chavismo», dice un mafioso a un leader di Pj nello stato di Miranda.

Intanto, dagli Stati uniti, la Dea ha annunciato di avere aperto un procedimento contro il generale Nestor Reverol, che aveva cacciato dal paese l’agenzia antidroga Usa accusandola di essere uno dei principali organizzatori del narcotraffico. Sulla stessa linea si sono posti altri paesi dell’America latina, come Bolivia e Ecuador, che si richiamano al socialismo del XXImo secolo. «Gli attacchi al Venezuela – ha detto Cabello – vengono, guarda caso, da due paesi: uno che produce droga e l’altro che la consuma».

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