Venezuela, attacco dal cielo a Maduro
Caracas Un poliziotto delle forze speciali ruba un elicottero e spara
Caracas Un poliziotto delle forze speciali ruba un elicottero e spara
Nella tarda notte di martedi, un elicottero Airbus Bolkow modello 105, immatricolato come Cicpc 02 ha sparato 15 colpi e lanciato 4 granate contro il Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) e contro la sede del Ministero degli Interni, a Caracas. Presi di mira anche gli agenti di polizia che sorvegliavano gli edifici.
Alla guida, Oscar Pérez, un ex ispettore del servizio di sicurezza venezuelano, il Cicpc (Cuerpo de Investigaciones Scientificas, Penales y Criminalisticas). L’attentatore, che è riuscito a fuggire, ha diffuso una rivendicazione a nome dei Guerreros de Dios (Guerrieri di dio) in cui attacca il governo Maduro e invita le Forze armate al golpe. “Siamo una coalizione di funzionari militari, poliziotti e civili in cerca di un equilibrio e contrari a questo governo transitorio e criminale”, ha detto Pérez in un video in cui compare in tenuta militare e a volto scoperto, accompagnato da quattro ufficiali armati e incappucciati, e chiede la rinuncia di Maduro.
Durante l’attacco, che non ha provocato feriti, Pérez – un ispettore delle forze speciali che ha anche recitato in un film – ha appeso al velivolo uno striscione con la scritta “Libertà” e il numero 350, corrispondente all’articolo della Costituzione bolivariana che le destre venezuelane richiamano per invitare alla “disobbedienza civile”.
L’elicottero si è alzato in volo dalla base militare de La Carlota, a cui Pérez aveva accesso per le sue speciali funzioni. Ha dapprima sorvolato il Ministero degli Interni, dove si stava svolgendo un ricevimento con 80 invitati e ha sparato 15 colpi. Poi si è diretto verso il Tsj e ha lanciato le quattro granate, una delle quali non è esplosa.
Il gesto di pochi esaltati o la prova d’orchestra per il golpe militare evocato e invocato nello scontro di poteri che attraversa il paese da aprile? Durante l’attentato, gruppi di abitanti degli edifici limitrofi a quello del Tsj hanno diffuso diverse registrazioni in cui si odono spari e si vede lo striscione. Per l’opposizione, si è trattato invece di “uno show”.
“L’unica cosa sicura è che le barricate e i blocchi stradali devono continuare”, ha detto il deputato di estrema destra, Freddy Guevara: uno dei più attivi sostenitori dei “guerrieri” o “scudieri” come si fanno chiamare gli incappucciati vestiti da “crociati”, che indossano maschere e anche cappucci bianchi da Ku Klux Klan.
Durante la notte, i deputati di opposizione si sono recati in Parlamento, mentre una folla di chavisti gridava slogan contro le ingerenze esterne e contro gli Usa. Vi sono stati alterchi tra il presidente della Camera, Julio Borges e le Forze armate addette alla sicurezza, che li hanno comunque protetti dai manifestanti.
Per il governo, si è trattato di un’allerta preoccupante. Dietro vi sarebbe l’ex ministro degli Interni, Miguel Rodriguez Torres, che viene dal Cicpc e gode ancora di molta influenza. Pérez aveva lavorato con lui. L’ex ministro degli Interni, a lungo collaboratore di Hugo Chavez, è stato accusato di essere passato al soldo della Dea, per salvare dalle sanzioni di Trump le proprietà della moglie negli Stati uniti. Lui ha negato, ma ora viene ritenuto l’ispiratore di Pérez e dei suoi Guerreros de Dios.
Il Tsj è stato al centro degli attacchi delle destre fin dal giorno successivo la loro vittoria in Parlamento, nel 2015. Preposto all’equilibrio dei cinque poteri di cui si compone la costituzione bolivariana, il Tsj aveva denunciato l’irregolarità delle decisioni dell’Assemblea, che aveva avallato la nomina di tre deputati di opposizione, eletti nello stato Amazonas, ritenuta fraudolenta dal Consejo Nacional Electoral (Cne).
Da lì un crescente scontro di poteri, giunto all’acme dopo l’appello alle sanzioni e all’intervento militare esterno, votato dall’opposizione a ritenuto “alto tradimento” dal Tsj. In quel contesto, si è evidenziato un dissenso organizzato da un gruppo di ex ministri di governo chavisti, capitanati dalla Procuratrice generale Luisa Ortega Diaz e da Miguel Rodriguez Torres. Ieri, il Tsj ha esautorato dalle funzioni il Ministerio Pubblico, dunque Ortega Diaz, trasferendo le competenze alla Difensoria del Pueblo nella persona di Tareck Saab.
In questi giorni, Saab ha denunciato un’escalation di “odio fratricida” riferendosi al ripetersi dei tentativi di linciaggi, falliti o riusciti come nel caso di due militanti chavisti bruciati nel Lara e rivoverati in gravi condizioni. Chi ha la pelle scura e vestiti modesti o una camicia rossa, se incappa in una barricata rischia seriamente la vita.
Un nutrito gruppo di italiani, residente in Venezuela, ha firmato un appello al dialogo e alla pace pubblicato in Italia dal sito Cambiailmondo.org, ma ha poi ritirato le firme, denunciando minacce di morte da parte degli squadristi: molti dei quali sono di origine italiana, come il “paramedico” di Molfetta, ricercato per l’omicidio dell’afrovenezuelano Oscar Figueroa, accoltellato e bruciato vivo dai “guarimberos”. La moto dell’italiano è stata fotografata durante il linciaggio e l’omicidio del ragazzo.
La base militare de La Carlota è stata attaccata già tre volte dai gruppi oltranzisti, con granate e anche con rudimentali bazooka (vedi la foto Reuters pubblicata ieri e quella scattata dal giornalista francese Maurice Lemoine). La Carlota si trova nella parte est della capitale: dove risiedono le classi medio-alte (molti i commercianti e costruttori italiani che hanno fatto fortuna in Venezuela e che ora boicottano il governo), si vota a destra e si organizzano i focolai violenti.
Nella base vi sono veivoli militari, soldati e loro famiglie. Dopo un recente attacco, i bambini che si trovavano nell’asilo interno hanno dovuto essere evacuati d’urgenza. Un aviatore di guardia alle installazioni, non addetto al contenimento della piazza, ha sparato su un giovane oltranzista, uccidendolo, ed è stato arrestato.
Il giorno dopo, l’opposizione ha organizzato una nutrita manifestazione davanti alla base, alcuni gruppi squadristi sono di nuovo penetrati nel perimetro, ma sono stati contenuti dalle Forze armate. Molti di loro sono giovanissimi, figli di famiglie benestanti oppure contrattati dal paramilitarismo di opposizione. Il governo ha denunciato all’Unicef l’uso di minorenni nel conflitto e alcune inchieste indipendenti (anche di Reuters) hanno documentato le modalità in cui vengono assoldati e le tariffe.
I morti sono oltre 70, in maggioranza passanti, forze dell’ordine, chavisti e manifestanti uccisi dallo scoppio di armi rudimentali, saltati sui tralicci dell’alta tensione o vittime del “fuoco amico”.
Lo scontro in Venezuela diventa anche cartina di tornasole per la politica europea e italiana. Pd e destre chiedono la testa del presidente e appoggiano la linea interventista di Trump e dell’opposizione. Rifondazione, Partito comunista (Marco Rizzo), sindacati di base, gran parte dei centri sociali e dei movimenti, pur con qualche distinguo, moltiplicano i comunicati e le iniziative di sostegno alla rivoluzione bolivariana. Scrive Fosco Giannini, respondabile Esteri del Pci: “L’attacco militare delle forze reazionarie è, per ora, uno degli apici del lungo tentativo del grande capitale venezuelano, delle oligarchie venezuelane, dei padroni delle terre venezuelani, di riportare l’ordine liberista in Venezuela, di riprivatizzare il petrolio, di riportare a Caracas la bandiera nordamericana”.
Il governo venezuelano si appella al popolo e “ai popoli fratelli”, e Maduro promette: “Se il Venezuela venisse sottomesso dal caos e dalla violenza e la rivoluzione bolivariana venisse distrutta, noi andremo a combattere, mai ci arrenderemo, quello che non avremo potuto fare con il voto lo faremo con le armi, libereremo la nostra patria con le armi”.
L’alternativa alla guerra civile, al Venezuela trasformato in nuovo Vietnam, rimane l’Assemblea Costituente, fissata per il 30 luglio, e le previste regionali del 10 dicembre.
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