Dopo sette ore e mezza di discussione fitta – non banale, quasi mai strumentale o invasata da posizioni antiscientifiche, come fu 15 anni fa quella convocata d’urgenza in Senato su Eluana Englaro, agli albori del dibattito italiano sull’eutanasia – il Consiglio regionale del Veneto ha bocciato ieri sera la propria legge sul fine vita che, prima in Italia, avrebbe dato attuazione alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sul caso Cappato/Antoniani. Mentre fuori protestavano le associazioni cattoliche oltranziste, con 25 sì, 22 voti contrari, 3 astenuti e un’assenza, l’assemblea di Palazzo Ferro Fini ha deciso di non seguire il presidente della Regione, il leghista Luca Zaia che sulla legge di iniziativa popolare «Liberi subito», elaborata dall’associazione Luca Coscioni e sottoscritta da 9.072 cittadini veneti, ci aveva messo la faccia. I consiglieri hanno bocciato il cuore della legge, i primi due dei 5 articoli che compongono il Pdl 217, per poi approvare il rinvio in commissione del testo (che per lo statuto Veneto non decade neppure con la fine della legislatura).

L’ago della bilancia era in mano ai leghisti, praticamente spaccati a metà. Senza direttiva di partito e decisi a votare secondo coscienza, una parte della Lega si è schierata con Fd’I e FI a dire no (ma ha votato contro anche la consigliera dem Bigon), e una parte per il sì con Zaia, Pd, Verdi e M5S. Anche se in molti hanno negato che la questione si potesse ridurre ad uno scontro di «zaiani contro salviniani».

IN EFFETTI, negli ultimi giorni lo scarto tra i due schieramenti si era ridotto a poche unità, ed è nella discussione d’aula che sembra si siano sciolte le posizioni degli ultimi indecisi. Nessuno ha presentato emendamenti al testo di legge, come aveva chiesto Zaia. Il governatore a inizio seduta ha annunciato il suo voto favorevole e poi ha preferito non assistere al dibattito per «non condizionare nessuno», tornando solo per votare. «La Lega ha lasciato totale libertà di voto, e mi pare strano che ci siano indicazioni politiche su un tema etico come questo – ha sottolineato il governatore -. Non siamo minimamente interessati o preoccupati di quello che sarà l’esito del voto», aveva assicurato.

MA NEL SUO INTERVENTO «in punta di piedi» Zaia ha ricordato che fin dal 2009, anno della morte di Eluana Englaro, appunto, tutti i diritti sul fine vita sono stati ottenuti per effetto di sentenze, come quella della Consulta del 2019. E che dal 2017 ogni cittadino può comunque decidere con un testamento biologico quali livelli di cura massimi è disposto ad accettare. «È immorale – afferma Zaia – che un Paese gestisca un tema così profondo e importante con una sentenza della Corte costituzionale».

E rispondendo «a chi parla di apertura all’eutanasia», il leader leghista ha ricordato che «il Veneto non introduce nulla di nuovo perché il percorso di fine vita in Italia è sancito dalla sentenza» dei giudici costituzionali. Che peraltro hanno invitato i legislatori italiani a normare tempi e modi di erogazione del servizio, e hanno individuato nel frattempo anche una procedura per la verifica della sussistenza dei requisiti necessari (maggiore età, malattia terminale, pieno e consapevole consenso, sofferenze psico-fisiche insopportabili e dipendenza da sostegni vitali) tramite un collegio medico e un comitato etico. E infatti sono dieci le regioni, oltre al Veneto, che hanno già pronti nel cassetto progetti di legge simili. Mentre «in Senato – ricorda ancora Zaia – giace da un po’ di tempo un pdl depositato».

LA LEGGE AVEVA ANCHE l’ambizione, secondo i suoi sostenitori, di omogeneizzare la presa in carico dei 5 milioni di cittadini veneti che afferiscono a servizi con efficacia diversa. Ricorda il presidente della Regione che, dopo la signora “Gloria”, paziente oncologica trevigiana morta nel luglio 2023 assistita dalla Ulss Veneto 2 e oltre al vicentino Stefano Gheller, ancora vivo, che dalla Ulss Veneto 7 ha ottenuto nel 2022 il via libera alla sua richiesta, ci sono state altre quattro richieste rigettate da altre Ulss venete. Per i detrattori della pdl invece (come Flavio Tosi, coordinatore regionale di FI) la questione va affrontata a livello nazionale perché «si creerebbe una sorta di migrazione della sofferenza da una parte all’altra del Paese». Non rinuncia, l’ex leghista, ad evocare lo spettro dell’eutanasia come mezzo di sterminio di massa dei più fragili, ma in generale i toni sono stati contenuti.

Alla fine, anche tra alcuni consiglieri della stessa Lista Zaia ha prevalso la convinzione che il testo di legge sia lacunoso e incoerente in più parti, irrispettoso dei rapporti Stato-Regioni, e che possa subire la censura della stessa Consulta. Così il coro dei no si è ingrassato. Al grido «l’autonomia del suicidio non passerà».