Vendere all’Arabia saudita e agli Emirati arabi armi che uccidono civili yemeniti viola il Trattato sul commercio di armi (Att), ma i responsabili non sarebbero perseguibili per assenza dell’abuso d’ufficio. È la decisione assunta ieri dalla gip Maria Gaspari che chiude alla denuncia mossa da Rete italiana Pace e Disarmo, Ecchr e dall’ong yemenita Mwatana in merito al ruolo della filiale italiana Rwm della azienda bellica tedesca Rheinmetall e dell’Uama (Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti).

LA DENUNCIA era partita da un caso acclarato di crimine di guerra: un attacco aereo risalente al 2016 sul villaggio di Deir Al-Hajari, nello Yemen che dal marzo 2015 subisce un’offensiva militare feroce a guida saudita ed emiratina.

In quell’attacco fu sterminata una famiglia di sei persone. Sul luogo furono trovate le prove delle armi utilizzate: provenivano dalla Rwm, con sede nel Sulcis sardo. Per questo i tre ricorrenti chiedevano l’incriminazione per l’ad di Rwm, Fabio Sgarzi, e per due ex direttori di Uama, Francesco Azzarello e Michele Esposito (non per l’attuale, Alberto Cutillo, entrato in carica dopo la sospensione governativa dell’export di armi ai sauditi).

Ieri l’epilogo, frastornante: la gip ha archiviato il caso pur riconoscendo la validità delle prove di colpevolezza raccolte in anni di indagine. «L’Uama – scrive Gaspari – era certamente consapevole del possibile impiego delle armi vendute dalla Rwm all’Arabia nel conflitto in Yemen a danno di civili» eppure «ha continuato a rilasciare autorizzazioni all’esportazione di armi alla società Rwm anche negli anni successivi, in violazione quantomeno degli artt. 6 e 7 del Trattato sul commercio di armi ratificato dall’Italia nell’aprile 2014».

NESSUNO però sarebbe perseguibile perché mancherebbero le prove dell’abuso di potere: l’Uama avrebbe rispettato le procedure formali del processo di autorizzazione all’export bellico.

«Questa valutazione – si legge nella nota diffusa ieri dalle tre ong – riduce le decisioni importanti sulla vendita di armi a mere formalità burocratiche, senza considerare che il commercio di armi ha un impatto diretto sulla vita delle persone. In questo modo si ignora sia la violazione delle norme nazionali e internazionali sul commercio di armi, sia le responsabilità dell’azienda nel garantire che le sue pratiche commerciali siano conformi alle norme internazionali».