Si potrebbe pensare ad una poetica citazione shakespeariana quando si sente la domanda di quale sostanza sia fatto il sottosuolo su cui poggia una città. Invece è una domanda di grande importanza geologica e storica. Le stratigrafie che ci mostrano il tufo a Roma, il calcare a Londra, la pietra di Parigi per la capitale francese connotano lo sviluppo urbanistico, architettonico e storico di una città.

Di che materia sia il sottosuolo dell’odierna Varsavia è la domanda che si è posto Adam Przywara ormai alcuni fa. Lo studioso è il curatore della mostra Warsaw 1945-1949: Rising from Rubble al Museo di Varsavia fino al 23 settembre. La rassegna, la prima che affronta il tema della ricostruzione della capitale polacca partendo dalle rovine, è il risultato di anni di studio di Przywara partiti dal tragico e imponente dato di 22 milioni di metri cubi di rovine che giacevano nella città devastata dalla guerra e dall’ordine di Himmler di annientarla in ogni modo possibile. Che farne di una mole così enorme che certo non era pensabile smaltire nei modi canonici, tanto più in un paese, in un continente, in ginocchio? Al dato economico si aggiungeva poi un dato simbolico, visto il senso che quelle rovine assumevano per la Polonia intera.

Al rientro degli abitanti in città, nel gennaio 1945, fu così deciso che quelle rovine sarebbero state la materia per la ricostruzione, una ricostruzione che non sarebbe stata però solo materiale ma che avrebbe dovuto essere anche umana; infatti, in quella che in mostra viene espressamente chiamata «metabolizzazione» vi fu una componente importante, realmente fondativa nella socializzazione della rovina. Tra questi muri di macerie non si doveva ricostruire solo la città, ma la vita collettiva di una comunità distrutta come e più degli edifici, delle strade, dei ponti. Subito dopo un drammatico inventario isolato per isolato su ciò che era rimasto, su ciò che non c’era più, su ciò che si era salvato in parte, ci si mise al lavoro.

Dalla mostra «Varsavia 1945-1949», (foto di Hanna Dzielinska)

Donne, moltissime donne a cui la guerra fatta dagli uomini aveva lasciato il dovere e il diritto alla rinascita reale e simbolica delle città in tutta Europa; muratori, artigiani, architetti, politici tutte e tutti contribuirono a riplasmare queste colline di rovine attribuendo loro nuovo valore. Centinaia e centinaia di persone che arrivavano tra quelle rovine quasi tutte dal quartiere Praga, che si era salvato dalla distruzione, attraversando la Vistola con mezzi di fortuna.

In mostra, quindi, vi è una narrazione intensa, commovente, eppure rigorosa fatta di mattoni, mezzi mattoni che vennero ripuliti con cura e accatastati, pronti per essere riutilizzati, semplici frammenti, aggregati di scarto, ferri ritorti e piegati dalle bombe e dal fuoco che venivano trasformati in cemento, resti di delicate porcellane, schegge di piastrelle, tutto materiale che si fa testimone di quello che c’è dentro la città odierna. E poi materiali d’archivio, in gran parte inediti, progetti per il riutilizzo, lettere, mappe, fotografie, cartoline, grafiche, filmati, stratigrafie. Molto interessanti sono le opere di artiste e artisti polacchi, provenienti da una mostra che si tenne al Museo nazionale della città subito dopo il rientro degli abitanti a Varsavia. Tra questi, ci sono figure come la grande fotografa Zofia Chometowska, Wojciech Fangor, Alfred Funkiewicz (che era anche architetto).

Tutto si fa categoria storica e interpretativa del processo di creazione della continuità della vita sociale, professionale, culturale, economica e politica dopo la seconda guerra mondiale.
Ma l’esposizione costruisce un legame importante con la contemporaneità, non solo con la presenza di artiste che hanno creato dei site specific, ma soprattutto perché dedica una sezione corposa all’indagine critica sul rapporto tra architettura e natura nella modernità del XX secolo. Fra il 1945 e il ’47 fu fatto un lavoro eccezionale da due botanisti per capire quali piante sarebbero cresciute meglio su questo particolare terreno. «La storia della rivalutazione delle macerie – dice Adam Przywara – può servire come riferimento diretto al dibattito contemporaneo sull’edilizia sostenibile al tempo della crisi climatica, basata sul recupero e il riciclo dei materiali. Il principio delle 3R (vale a dire ridurre, riutilizzare, riciclare) è stato applicato su vasta scala nella Varsavia del dopoguerra». Senza dimenticare mai a che prezzo fu pagata tanta lungimiranza, sicuramente la città può essere un modello straordinario.