Quando il male si risveglia a Derry, l’immaginaria cittadina del New England nella quale Stephen King ha ambientato il capolavoro It, quasi nessuno se ne accorge. I Losers, i ragazzini che 24 anni prima avevano sconfitto senza finirlo il mostro celato sotto le sembianze del clown Pennywise, hanno lasciato la città, sono diventati Winners, hanno tutti fatto carriera. Li richiama al combattimento l’unico di loro che sia rimasto a Derry, il solo a non poter vantare successi ma anche quello che non ha perso la memoria: il nero Mike Hanlon, bibliotecario.

NON È UN CASO che Mike, custode dei ricordi e sentinella lasciata a guardia del barile, sia diventato bibliotecario, né che del gruppetto sia forse il personaggio meno precisamente delineato. La biblioteca è lo scrigno che custodisce la memoria della città e i suoi turpi segreti. La missione del bibliotecario è solo quella di sorvegliarla e scavare nei misteri che cela. Tra i sette protagonisti resterà il più evanescente.
La letteratura abbonda di scrittori immaginati da altri scrittori pescando più o meno copiosamente – e più o meno esplicitamente – nella loro esperienza personale. In una certa misura, lo scrittore che mette in scena personaggi che fanno il suo stesso mestiere parla sempre di sé. Bibliotecari e librai invece scarseggiano. Forse perché in quel caso a essere chiamato in causa non è l’autore ma la sua opera, l’uso che il mondo e i posteri ne fanno o ne faranno, le dimensioni circoscritte che è destinata ad acquistare nella cattedrale immensa e in permanente crescita della Biblioteca di Babele. Il bibliotecario è lo sciamano che sarà chiamato a catalogarla, inserirla in un contesto composto da testi simili e affini, esaltarla o nasconderla, suggerirla al lettore o trascurarla.

LA BIBLIOTECA, negli annali dell’immaginazione letteraria, è un labirinto nel quale si rischia grosso e ci si può facilmente perdere, come capita a Guglielmo di Baskerville e al suo imberbe assistente Adso nel Nome della Rosa di Eco: la saga di una biblioteca, ricalcata anche nei particolari su quella di Borges, nella quale chi si addentra lo fa con pericolo estremo. Controllare il sapere lì accumulato garantisce potere, tanto che per tradizione è sempre il bibliotecario del convento a diventare poi abate e dominus. È il potere di mostrare e divulgare, ma ancor più quello di occultare. Fra i volumi dell’abbazia, Eco ha nascosto il testo che potrebbe cambiare i connotati della mentalità cristiana, e il demoniaco Jorge, bibliotecario di fatto se non di nome, non esita a uccidere per impedire che veda la luce.
Nella biblioteca di Trantor, città capitale dell’impero galattico grande come un intero pianeta, Isaac Asimov nasconde le tracce che portano al pianeta originario e dimenticato dal quale era partita la colonizzazione della galassia. In qualche dimenticata biblioteca giacciono le ultime copie del maledetto Necronomicon, il libro che schiude le porte sulle dimensioni mostruose immaginate da H.P. Lovecraft, il Solitario di Providence, e riprese poi da legioni di epigoni a partire da August Derleth.

Già ma le biblioteche d’ogni giorno, quelle che non nascondono misteri tali da cambiare il corso del mondo o da svelare i segreti dell’universo, quelle dove si vivono avventure d’altro tipo, più private e personali, e nelle quali i bibliotecari non sono sacerdoti temibili ma professionisti che accompagnano, o forse accompagnavano prima che la rete ne sostituisse parecchie funzioni, la vita tranquilla e spericolata del lettore? Ci sono anche quelle, ma figurano con indicativa parsimonia. Eppure solo raccontando quella realtà quotidiana uno scrittore mette in campo e a tema la sua opera e i risultati a cui arriva, si misura con il prodotto tangibile del suo lavoro, con il libro inteso come oggetto sia materiale che di fruizione.

NEL 1970 HELEN HANFF scrittrice newyorchese affermata soprattutto come una delle prime e principale sceneggiatrici televisive diede alle stampe il suo epistolario con il londinese Frank Doel, primo venditore della libreria antiquaria Marks &Co, in Charing Cross Road, a Londra. Appassionata di letteratura inglese, senza mai aver messo piede nel Regno unito, e di edizioni originali Helen Hanff trovò in Doel il corrispondente ideale. Condividevano l’amore per i libri nella loro concreta materialità, impreziosita dal trascorrere del tempo, e la sottigliezza nell’affrontarne i contenuti. Si scrissero con regolare frequenza per due decenni. Doel trovò per lei, a prezzi abbordabili, volumi tanto rari quanto preziosi. Non si incontrarono mai: l’americana si decise a varcare l’oceano quando il suo mai incontrato gemello era già morto. Il suo libro, 84, Charing Cross Road, è diventato universalmente noto nel 1987, grazie al fortunatissimo film interpretato da una grandissima Ann Bancroft e da Anthony Hopkins. Ma il carteggio restituisce anche più del film quell’amore per il libro come oggetto, per la rilegatura, la grana delle pagine, persino l’odore, che i lettori non episodici conoscono tutti.

NELL’ULTIMO ROMANZO di Javier Cercas, Terra Alta, la moglie del protagonista è una bibliotecaria, lui un poliziotto ex detenuto a cui la letteratura del XIX secolo ha cambiato la vita. Si incontrano in biblioteca, si innamorano parlando di libri, punteggiano il loro matrimonio discutendo di libri e leggendoli a turno a voce alta. Formalmente Terra Alta è un noir. In realtà è un libro sul ruolo che questi hanno nella vita non degli studiosi o degli altri scrittori ma dei lettori qualsiasi, per i quali i romanzi diventano esperienze di vita, a volte, come nel caso dei Miserabili per il protagonista di Cercas pietre miliari.
Di libri che abbiano scelto una biblioteca come argomento centrale, provando a raccontarne la realtà e facendo dei suoi funzionari qualcosa in più che cartoncini bidimensionali, ce ne sono pochi, tra cui uno appena uscito. È La biblioteca di Parigi, di Janet Skeslien Charles, tradotto da Roberta Scarabelli ed edito da Garzanti. La biblioteca in questione è l’American Library of Paris, fondata esattamente un secolo fa, la più grande in lingua inglese dell’intero continente. Durante l’occupazione tedesca, dal 1940 al 1944, la biblioteca decise di restare aperta. Nonostante i divieti continuò a fornire i suoi servizi agli utenti ebrei, portando i libri in prestito a domicilio.

L’AUTRICE RIEPILOGA quei giorni mischiando realtà e fantasia. Con alle spalle un’esperienza di lavoro diretta nell’American Library ha cercato di ricostruire le vicende reali e il carattere dei protagonisti. Tra i personaggi principali del suo romanzo figurano Dorothy Reed, la direttrice che rifiutò di lasciare Parigi e il suo lavoro dopo l’occupazione, il tedesco dottor Fuchs, supervisore alle librerie di Parigi e a propria volta ex bibliotecario, che a modo suo contribuì a salvare l’American Library, il russo Boris Netachaeff, sopravvissuto per miracolo alla rivoltellata sparata da un agente della Gestapo durante una perquisizione. L’autrice voleva raccontare un’epoca senza mai volgere lo sguardo da una semplice e allo stesso tempo eccezionale biblioteca. Ci è riuscita perfettamente.

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SCHEDA. «La libreria di Parigi», romanzo «storico»

L’American Library of Paris è la più grande biblioteca di prestito in lingua inglese d’Europa- Aperta nel 1920, con sede in rue de l’Elysée, spostatasi poi nel 1952 sugli Champs Elysées e dal 1965 in Rue du Génèral Camou, ha compiuto quest’anno un secolo di ininterrotta attività, proseguita anche durante l’occupazione tedesca dal 1940 al 1944. Era abitualmente frequentata, negli anni ’20 del secolo scorso, da Hemingway, Getrude Stein, Edith Wharton, ed è stata una delle prime biblioteche in Europa ad adottare il moderno sistema di classificazione decimale Dewey. In occasione del centesimo anniversario, Janet Skeslien Charles, scrittrice ed ex direttrice della sezione Eventi culturali della Biblioteca ha dato alle stampe il romanzo «La libreria di Parigi», basato sui racconti dei sopravvissuti alla fase più difficile della biblioteca, quella dell’occupazione nazista sotto la direzione storica di Dorothy Reeder.