Usa, sentenza pro social media: «Pericolo» per le elezioni 2024
Usa Un giudice federale ha negato l’appello del governo per sospendere l’ingiunzione. Le associazioni per i diritti civili ora temono il dilagare della disinformazione
Usa Un giudice federale ha negato l’appello del governo per sospendere l’ingiunzione. Le associazioni per i diritti civili ora temono il dilagare della disinformazione
La decisione di un giudice federale della Louisiana, Terry Doughty, nominato da Trump, che impone dei limiti agli interventi del governo federale nei confronti dei social media, continua a preoccupare i difensori dei diritti civili Usa. Il caso era nato a seguito di una mail inviata dal consigliere di Biden ai dirigenti di Facebook, in cui li invitava a limitare la diffusione di commenti e informazioni contrari alla campagna vaccinale contro il Covid. A seguito di ciò i funzionari dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, hanno tenuto riunioni settimanali con i responsabili non solo di Facebook, ma anche di Twitter, YouTube e Google ma, secondo la sentenza di Doughty, in questo modo l’amministrazione Biden avrebbe censurato delle opinioni e violato il Primo emendamento.
CIÒ CHE IL GIUDICE ha bloccato con la sua sentenza sono proprio le comunicazioni e gli incontri fra le principali agenzie dell’amministrazione Biden con le società di social media, sostenendo che l’amministrazione «sembra aver assunto un ruolo simile a un ‘Ministero della verità’ orwelliano».
Il governo ha già impugnato la sentenza, ma ieri un giudice federale ha negato la richiesta del dipartimento di Giustizia di sospenderne l’attuazione. I dem vedono nella decisione del giudice un passo sollecitato dalla destra conservatrice. Lo temono anche i difensori dei diritti civili, preoccupati che la prossima stagione elettorale alle porte, con le primarie che inizieranno a fine gennaio e le presidenziali a fine anno, possa diventare un momento di diffusione massiccia di disinformazione.
La sentenza di Doughty impedisce ai funzionari di telefonare, inviare e-mail, lettere, sms o di fare incontri con società di social media, «allo scopo di sollecitare, incoraggiare, fare pressioni o indurre in qualsiasi modo la rimozione, la cancellazione, la soppressione o la riduzione di contenuti». Fra gli interessati da questa sentenza ci sono il segretario alla Salute e i servizi umani Xavier Becerra, l’addetta stampa della Casa bianca Karine Jean-Pierre e i dipendenti del dipartimento di Giustizia e dell’Fbi.
Da anni i conservatori si lamentano di essere ingiustamente banditi dalle piattaforme social e di subire censure, e da anni Trump fomenta queste paure, parlando di un deep state, uno stato profondo composto da burocrati, che agisce per cancellare le opinioni dei conservatori, sopprimendo l’evolversi di un dibattito in cui tutti sono liberi di esprimere le proprie idee.
I PROBLEMI in realtà nascono con la diffusione incontrollata non di idee personali, ma di opinioni complottiste presentate come fatti accertati, come la storia delle elezioni rubate a Trump dai democratici, che ha portato al tentativo di colpo di stato del 6 gennaio 2021. Gli avvocati del governo hanno chiesto di sospendere l’ordine, in quanto potrebbe causare «gravi danni» impedendo al governo di «impegnarsi in una vasta gamma di comportamenti leciti e responsabili» a tutela del voto imminente, e per ora le società di social media non si sono espresse.
Questa sentenza arriva in un momento in cui, dopo il passaggio di Twitter nelle mani di Musk c’è un generale fuggi fuggi da quella piattaforma verso altri e nuovi canali social simili, come BlueSky del creatore di Twitter, Jack Dorsey o la nuova Thread di Mark Zuckerberg. Proprio quest’ultima piattaforna è stata percepita da Musk come una sorta di aggressione personale e, dopo aver sfidato Zuckerberg a un duello di arti marziali, l’uomo più ricco del mondo è passato a una competizione in gran voga nelle scuole medie dei paesi più patriarcali. «Propongo letteralmente una gara di misurazione del pene», ha scritto Musk su Twitter.
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