È di almeno 11 morti il bilancio degli attacchi aerei Usa contro postazioni di milizie fedeli all’Iran nell’area di Deir ez-Zor, nella Siria orientale. Per alcuni si tratta dell’antipasto di uno scontro militare ampio che potrebbe avvenire in futuro tra Washington e Teheran. Autorizzati dal segretario della Difesa, Lloyd Austin, i bombardamenti aerei hanno ucciso sei persone in un deposito di armi, secondo la versione data dagli americani, nel quartiere di Harabish di Deir ez-Zor. Altri tre nell’area desertica di Al Bukamal e altri due nella periferia meridionale di Al Mayadeen. Anche due siriani sono stati uccisi dalle bombe. Gruppi filoiraniani hanno risposto lanciando razzi contro il giacimento petrolifero di Al Omar, situato nei pressi di una base della Coalizione a guida statunitense, senza causare vittime. Intanto non è chiaro se sia effettivamente morto un contractor Usa in un precedente attacco con un drone contro una base militare americana nella zona di Khrab al Jeer.

Il rischio è di una escalation militare tra Iran e Usa in Siria, proprio nel momento in cui il paese arabo, colpito dal recente terremoto, ha spezzato l’isolamento internazionale in cui è stato tenuto dopo il 2011 e sta riallacciando i rapporti con il mondo arabo (presto l’Arabia saudita riaprirà la sua ambasciata a Damasco) contro la linea degli Usa e di diversi paesi europei. La Coalizione a guida Usa che negli anni passati ha combattuto le forze dell’Isis in Siria potrebbe ora trasformarsi in una sorta di fronte anti-Iran. Elicotteri della Coalizione ieri hanno sorvolato per ore il deserto all’incrocio dei confini tra Siria, Giordania e Iraq e il campo di Al-Rukban, allo scopo di monitorare i movimenti delle forze filoiraniane.

La ripresa delle relazioni diplomatiche tra Teheran e Arabia saudita annunciata a metà mese, che per gli analisti allenterà le tensioni nella regione mediorientale, è stata accolta con disappunto dalla Casa Bianca (e Israele) e sembra aver spinto l’Amministrazione Biden a adottare una linea ancora più dura nei confronti dell’Iran. Washington peraltro accusa la Repubblica islamica di aiutare militarmente la Russia nella guerra contro l’Ucraina. Da giorni le forze filoiraniane, presenti da anni in Siria a sostegno dell’esercito regolare siriano, sono in stato di allerta. E si sono ritirate da alcune postazioni per dirigersi verso siti fortificati in vista di nuovi raid aerei Usa.

In Siria ci sono anche 900 militari statunitensi, schierati per la prima volta nel territorio del paese arabo durante la campagna dell’Amministrazione Obama contro lo Stato islamico. Addestrano e collaborano con le Forze democratiche siriane (Sdf) a maggioranza curda. Due settimane fa la Camera dei Rappresentanti Usa ha bocciato una risoluzione bipartisan che avrebbe richiesto al presidente Biden di ritirare tutte le truppe americane dalla Siria entro 180 giorni. Il Congresso comunque non ha mai autorizzato le forze armate statunitensi a combattere le formazioni sostenute dall’Iran in Siria. I soldati Usa per la maggior parte sono dispiegati in basi nelle aree della Autonomia curda dove sono situati la maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani. Damasco accusa gli Usa (e i curdi) di «rubare» alla Siria il suo petrolio e di inviarlo nel Kurdistan iracheno, in cui sarebbe poi venduto sul mercato internazionale. In questo modo, spiega, vengono sottratte risorse energetiche e valuta pregiata alle casse dello Stato siriano.

La tensione è molto alta nel nord e nell’est della Siria dove peraltro continuano a colpire e ad uccidere cellule dello Stato islamico. I jihadisti nelle ultime ore hanno compiuto un’altra strage. Almeno 15 persone, che cercavano tartufi nella zona di Hama, state uccise a coltellate: sette erano civili, otto facevano parte di una milizia filogovernativa. Altre 40 persone risultano disperse. Alcune settimane fa altri civili erano stati massacrati dall’Isis che, attraverso queste stragi, cerca di creare delle «aree proibite» alla popolazione locale da tenere sotto il suo controllo esclusivo. Sempre ieri soldati di Damasco si sono scontrati con miliziani di Hayat Tahrir al-Sham, l’ex fonte al Nusra (l’ala siriana di Al Qaeda) nella provincia di Aleppo. Almeno dieci i morti.