Internazionale

«Il disgelo verso Assad lo tiene lontano dalla guerra»

Il leader di Hezbollahn, Hassan Nasrallah con il presidente siriano Bashar Assad in una foto di archivio foto ApIl leader di Hezbollahn, Hassan Nasrallah con il presidente siriano Bashar Assad in uniimmagine di archivio – Ap

Medio Oriente Intervista all'analista Lorenzo Trombetta: «Vari paesi arabi ed europei stanno rivendendo le loro posizioni sulla Siria. È un aspetto positivo per Damasco che così si rafforza anche se il paese continua essere diviso»

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 10 agosto 2024

Nello scontro che può sfociare in una guerra aperta tra Israele, sostenuto da Usa e Occidente, e l’Asse della resistenza guidato dall’Iran, si è notata l’assenza in un ruolo da protagonista della Siria stretta alleata di Teheran e del movimento sciita libanese Hezbollah. Damasco ha condannato l’offensiva israeliana contro Gaza e i massacri di palestinesi e nei giorni scorsi anche le uccisioni del leader di Hamas Ismail Haniyeh e del capo militare di Hezbollah, Fuad Shukr.

Ma l’atteggiamento del presidente siriano Bashar Assad è prudente, volto a restare nelle retrovie e non sulla linea del fronte. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Trombetta, analista e specialista di Siria e Libano ed autore di libri e studi sul Medio Oriente.

Come spiega la linea di basso profilo che Damasco ha adottato in una fase così critica dello scontro con Israele?

Per dare una spiegazione dobbiamo tenere presente che ci sono due piani, uno dietro le quinte o comunque sottotraccia, e un altro più in superficie. Quello sottotraccia mi sembra più rilevante: Bashar Assad è impegnato ad accreditarsi non soltanto con i paesi arabi, ma anche con alcuni paesi europei, in particolare il club di Cipro di cui l’Italia è parte. Proprio l’Italia è stata di recente il primo paese del G8 ad aver nominato per la prima volta dal 2011 un ambasciatore a Damasco. Anche se è un incaricato d’affari perché non può presentare le credenziali ad Assad, il mandato è stato elevato rispetto al passato, a partire dal fatto che è residente a Damasco e non a Beirut. Questo denota la tendenza di certi paesi europei a rivedere le relazioni con il governo siriano. Assad cerca di raccogliere i frutti dell’avere atteso tanti anni che i cadaveri dei suoi nemici passassero sul fiume. Questa politica di attesa e di mantenimento di una posizione gli ha consentito, e anche alla Russia (sua alleata, ndr), di osservare dinamiche che si posizionavano nell’idea dello status quo. Certo, non nella situazione precedente al 2011 (quando sono cominciate proteste popolari contro Damasco, ndr) ma comunque all’interno di equilibri che non sono stati scalfiti in maniera determinante. Assad sta riuscendo a rimanere ai vertici del potere anche cercando le sponde esterne, prima con alcuni paesi arabi come l’Arabia saudita o gli Emirati, poi con paesi europei.

Francia, Gran Bretagna e Stati uniti, insieme alla Germania, che pesano nel G8, ancora si oppongono formalmente a ogni tipo di normalizzazione dei rapporti con Damasco. Gli altri grosso modo stanno rivendendo le loro posizioni nei confronti di Damasco. Questo è un aspetto positivo dal punto di vista di Assad, che rafforza la sua posizione, al di là del fatto che la Siria continui a essere divisa, che ci siano zone fuori dal controllo governativo e che le stesse aree sotto controllo sono un mosaico dove imperversano signori della guerra di varia natura. Comunque, Assad sta là. E come lo era per suo padre Hafez, il tempo è dalla sua parte. Più tempo passa e più il pareggio diventa una vittoria.

Quanto tutto questo si ricollega alla superficie, alla linea cauta scelta dalla Siria nella crisi regionale?

Ciò che avviene sottotraccia spiega l’assenza o quasi della retorica bellicistica che ci si aspettava a sostegno di Hezbollah o dell’Iran. Assad ha bisogno di conservare le proprie risorse ed energie e di non inimicarsi nessuno perché, in questo contesto, alcuni dei suoi interlocutori sono proprio quelli che sostengono Israele o sono contro Hamas e Hezbollah. L’Italia, ad esempio, è esplicitamente filoisraeliana. L’Arabia saudita e gli Emirati sono degli attori che fanno il gioco degli Stati uniti e in definitiva di Israele. Pertanto Damasco, in questo momento, ritiene che sia meglio non puntare troppo i piedi sulla resistenza se vuole portare a casa i risultati di cui parlavamo prima. Assad preferisce non esporsi con dichiarazioni che non servirebbero a molto. Hezbollah comunque dispone di una certa libertà di movimento nel territorio siriano, a ridosso del Golan. Senza dimenticare che la Russia, che pure sostiene Assad, mantiene un collegamento tattico, militare con Israele e potrebbe aver detto a Damasco di mantenere una linea più accorta.

Se la stabilità è la parola d’ordine, quanto pesa e quanto è rischiosa per Damasco la mancanza di controllo su tutto il territorio siriano?

Alcune delle aree non controllate dal governo costituiscono un problema perché, prima di tutto, non consentono l’estrazione delle risorse energetiche che garantiscono l’accumulo di capitale a favore del potere centrale. Ma questa assenza di controllo non mette a rischio la stabilità, anche perché attraverso intermediari e poteri locali, le zone sganciate comunque mantengono interazioni economiche, finanziarie e commerciali con Damasco. È una situazione che si è sedimentata. Quanto durerà? Anni, forse dieci, venti o trenta anni, nessuno può dirlo e dire come evolverà.

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