Siriani in fuga dal Libano per tornare tra le macerie
Medio Oriente Da fine settembre 500mila civili hanno attraversato i valichi di transito, il 70% sono siriani. Intervista ad Andrea Sparro di We World: «Le loro case e i villaggi sono distrutti. Scuole, ospedali, reti idriche non esistono più. Non tornano con il desiderio di ristabilirsi, semplicemente scappano dall’ennesimo attacco a tappeto di Israele»
Medio Oriente Da fine settembre 500mila civili hanno attraversato i valichi di transito, il 70% sono siriani. Intervista ad Andrea Sparro di We World: «Le loro case e i villaggi sono distrutti. Scuole, ospedali, reti idriche non esistono più. Non tornano con il desiderio di ristabilirsi, semplicemente scappano dall’ennesimo attacco a tappeto di Israele»
Si intensificano i raid israeliani e Usa in Siria, paese alleato dell’Iran e di Hezbollah, ma che sta cercando di evitare lo scontro aperto con Israele. L’aviazione di Tel Aviv è tornata a prendere di mira Damasco nei giorni scorsi, uccidendo almeno nove civili e, pare, due ufficiali di Hezbollah nel quartiere di Mezzeh, quello delle ambasciate.
I jet americani invece hanno colpito combattenti sostenuti dall’Iran al confine tra Siria e Iraq. Prosegue nel frattempo il flusso verso la Siria di profughi siriani e libanesi che scappano dagli attacchi israeliani in Libano. Ne abbiamo parlato con Andrea Sparro, rappresentante a Damasco della ong italiana WeWorld con progetti nelle aree rurali più remote nei governatorati di Aleppo, Raqqa e Deir Ez Zor.
Quanti sono e chi sono i civili che dal Libano si stanno spostati in Siria?
In base agli ultimi dati a disposizione, circa 500mila civili hanno attraversato i valichi di transito. Per un 70% sono siriani, i restanti sono libanesi e in piccola percentuale di altre nazionalità, tra cui palestinesi. In prevalenza i siriani sono donne e bambini. Le ragioni sono da collegare ai rischi che gli uomini adulti corrono nel tornare in patria, ad esempio l’obbligo del servizio militare. Dal nostro punto di vista, di operatori umanitari, i siriani non tornano con il desiderio di ristabilirsi in maniera permanente nel paese di origine. Semplicemente scappano dall’ennesimo attacco a tappeto che lo Stato di Israele sta compiendo in uno dei paesi del Medio Oriente.
Dove si dirigono i profughi una volta entrati in Siria? Nei villaggi e nelle città di origine le loro case ci sono ancora?
La Siria è un paese diviso in più parti. Damasco è sotto l’autorità del governo assieme a una porzione significativa del paese. Poi ci sono il nord-est e il nord-ovest controllati da vari gruppi di opposizione. C’è anche la presenza di forze straniere: nell’area di governo ci sono i russi, nel nord-est americani e turchi. Un quadro complesso in cui la libertà di movimento è limitata. Nei distretti che costeggiano il confine con il Libano, sono stati allestiti centri di accoglienza che accolgono al momento quasi esclusivamente libanesi. I siriani sono ospitati dalle comunità dalle quali provengono e le loro case spesso sono cumuli di macerie. La Siria è stata teatro di combattimenti e negli anni scorsi villaggi interi sono stati distrutti. In alcune aree non esistono più i servizi di base, non ci sono scuole, ospedali, acquedotti. In questo momento centinaia di migliaia di persone (sfollate o ritornate, ndr) sono sparse in tutta la Siria, principalmente nella zona sotto il controllo del governo. Stimiamo che altre 50mila siano andate nel nord-est.
Il reinserimento dei siriani che tornano incontra difficoltà?
Il rischio di tensioni sociali è concreto. Perché le persone che sono andate via (durante la guerra in Siria, ndr) e sono state in Libano per molti anni ora sono guardate in un certo modo dai siriani rimasti nel paese. Il fatto che la macchina degli aiuti si sia messa in moto per questi siriani provenienti dal Libano non è visto di buon occhio dagli altri che forse ritengono di avere un diritto di precedenza. Non dimentichiamo che i bisogni umanitari della popolazione sono al massimo storico mentre gli aiuti e i finanziamenti sono al minimo.
Come vive un siriano in un paese impoverito da guerra e sanzioni internazionali?
Cerca di sopravvivere come altri milioni di abitanti bisognosi di aiuto. Coloro che vivono nelle città sono leggermente avvantaggiati, ma nelle zone rurali c’è una assenza totale di servizi di base. La situazione è peggiorata ulteriormente dopo il terremoto del febbraio 2023. La Siria è in una grave crisi economica, con inflazione galoppante e scarsa energia disponibile per la popolazione. A Damasco si vive con sei-otto ore di corrente elettrica al giorno. Fuori dalla capitale è molto peggio, anche per quanto riguarda il cibo perché recentemente il Programma alimentare mondiale ha dovuto interrompere, a causa della riduzione dei finanziamenti, il piano di supporto alla popolazione. Tanti cittadini sono senza scuole, ospedali, reti idriche e il tasso di povertà aumenta. La Siria prima della guerra (iniziata nel 2011, ndr) non aveva un’economia scintillante, ma comunque solida e legata all’industria. Nel paese ci sono anche petrolio e gas ma i giacimenti sono nelle zone del nord-est e il governo siriano non riesce a sfruttarli. Le Nazioni unite e le ong fanno del loro meglio per sostenere la popolazione però mettono solo dei cerotti poiché in queste circostanze le soluzioni sono sempre politiche.
I siriani temono di essere coinvolti direttamente nello scontro tra Israele e Iran?
Nelle ultime settimane Damasco è stato oggetto di bombardamenti da parte di Israele. In modo particolare nel quartiere di Mezzeh che era considerato sicuro perché ci sono gli uffici delle Nazioni unite e molte ambasciate. Ma è anche il quartiere in cui si trovano persone che a Damasco chiamano di «alto profilo», ossia persone di altre nazionalità, iraniane, libanesi e palestinesi, che possono essere bersagli di Israele. La preoccupazione è molto forte nella popolazione siriana. Tra amici e colleghi e i siriani più in generale notiamo come stia riaffiorando il trauma della guerra che hanno vissuto negli anni passati.
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