Uruguay, l’altro Plan Condor visto dal cinema
Il racconto del golpe Il 27 giugno è stato l’anniversario dei 50 anni del golpe in Uruguay, una dittatura che terminò solo nel 1985: così è stata raccontata sul grande schermo
Il racconto del golpe Il 27 giugno è stato l’anniversario dei 50 anni del golpe in Uruguay, una dittatura che terminò solo nel 1985: così è stata raccontata sul grande schermo
Il 27 giugno è stato l’anniversario dei 50 anni del golpe in Uruguay, una dittatura che terminò solo nel 1985, meno ricordata e raccontata internazionalmente rispetto a quella cilena o argentina, anche se non si trattò di un fatto locale ma parte del Plan Condor e non meno drammatica, in un paese che conta tre milioni di abitanti con quindicimila detenuti, bambini sottratti alle famiglie, arresti effettuati anche fuori dal paese, 172 desaparecidos.
Come un velo nero quel periodo si stende sul cinema uruguayo, che internazionalmente fu strappato dal film La noche de los 12 anos (La notte dei 12 anni) del regista e produttore Alvaro Brechner presentato alla mostra di Venezia nel 2018, lo stesso anno del film di Kusturica dedicato al presidente Pepe Mujica, alla sua presenza.
Il film racconta come in un labirintico crudele paradosso la lunga detenzione dei tre dirigenti Tupamaros Pepe Mujica, il poeta Mauricio Rosencof ed Eleuterio Huidobro, diventato poi ministro della difesa, un film basato sul libro Memorias del calabozo (Ricordi dal carcere) di Rosencof e Huidobro, che resta per sempre nella memoria, liberatorio al finale, determinante come lo fu Garage Olimpo di Marco Bechis nel racconto della dittatura argentina.
I tre Tupamaros furono arrestati nel 1973 al momento del golpe e detenuti come ostaggi pronti ad essere giustiziati in caso di attentati, liberati solo nel 1985. La presenza del presidente rinchiuso, che ha poi indicato la responsabilità di tutto l’occidente nei confronti della povertà nel mondo e in particolare dell’Africa.
Nel chiuso di un genere carcerario piuttosto anomalo, il film arriva tanti anni dopo gli eventi in parallelo con un lungo lavoro sulla memoria. Non si trattò di detenzione, ma di una forma di tortura contro ogni legge sui diritti umani, in completo isolamento, trasportati in luoghi sempre diversi, senza luce, cibo, acqua, allo scopo di distruggere la mente. Il film mostra la resistenza dei prigionieri e come trovarono il modo per comunicare tra loro attraverso gli spessi muri delle fortezze simili a pozzi, a segrete medievali, e, nonostante tutto, avere poi la forza una volta usciti, di continuare a lottare per la giustizia sociale. Così come la guerra, neanche la prigionia si può raccontare senza che diventi spettacolo, ma in questo caso l’elemento paradossale è messo bene in evidenza, riassunto dallo stesso Pepe Mujica («mi presero perché non ero veloce, non ero atletico») con il ricordo di un film di qualche anno prima, Whisky, che in qualche modo rendeva perfettamente la cupa atmosfera, l’humor nero sedimentato in un’epoca di elaborazione dei lutti. Il lavoro sulla memoria che coinvolge da anni tutto il continente latinoamericano, da parte di un paese come l’Uruguay molto resta ancora in sospeso, come la questione dei desaparecidos e i processi ai militari.
Di due anni prima è Migas de pan (Molliche di pane), 2016, della regista Manane Rodriguez, nominato agli Oscar per l’Uruguay come film non di lingua inglese, con Justina Bustos che interpreta una studentessa militante contro la dittatura, arrestata e torturata. Le viene tolta anche la podestà del figlio e riesce a resistere grazie alla solidarietà dei compagni di detenzione. Dopo molti anni di esilio in Spagna torna (interpretata da Cecilia Roth) per ritrovare il figlio e unire la sua voce a quella delle sue compagne di detenzione per far conoscere le violenze subite.
Negli anni duemila anni una quantità di documentari vengono realizzati, come lavoro complessivo che intende portare alla luce storie altrettanto drammatiche di militanti, leggendari guerriglieri, esiliati in ogni parte del mondo, universitari come A la cinco in punto di José Pedro Charlo (2004) che racconta la grande azione pacifica di resistenza contro la dittatura del ’73 di studenti e lavoratori, oppure il ritrovamento di 50mila negativi che raccontano la storia mai raccontata del paese con il ritrovamento dell’archivio fotografico del quotidiano El Popular fatto chiudere dalla dittatura (Al pie del arbol blanco, 2007 di Juan Alvarez Neme); i militati uruguayani sequestrati a Buenos Aires (Aquello nuevos asesinados, 2007) come il presidente della Camera Hector Gutierrez Ruiz sequestrato nel ’76, trovato assassinato in un’auto a Buenos Aires per aver denunciato i crimini dai militari, raccontato in D.F (Destino Final) realizzato dal figlio Matteo Gutierrez; la nota immancabile di humor nero in Decile a Mario que no vuelva (di Mario Handler 2008) dove si mostra come la dittatura sia ancora presente tra la gente; il viaggio nel passato del dottor Engler dirigente tupamaro costretto a vivere per anni in un pozzo in El circulo (2008) di José Pedro Charlo e Aldo Garay; fino al recente La memoria del Condor di Emanuela Tomassetti (2018) con il racconto di vittime e di figli rubati.
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