Visita ufficiale a Kiev, ieri, del ministro delle imprese Adolfo Urso e del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, la prima di un ministro del governo Meloni, – e già non si capisce bene chi ha portato chi: nelle foto pubblicate su Twitter, sul treno per Kiev si vedono Urso, Bonomi e il consigliere diplomatico di Giorgia Meloni, Francesco Talò, a cui la settimana scorsa era arrivata la telefonata del consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa Jack Sullivan che chiedeva all’Italia altre armi e una particolare e costosa batteria antimissile.

IL DECRETO ARMI è stato approvato, la batteria antiaerea Samp-T dovrà aspettare ancora un po’, in compenso l’Italia ha inviato le sue imprese. Perché questo hanno fatto a Kiev, Bonomi e Urso: inaugurare il “Desk Confindustria” a favore delle imprese dentro l’ambasciata italiana. Hanno anche incontrato un vicepremier e il consigliere del presidente Zelensky, ma lo scopo della trasferta era questo: aprire lo Sportello Italia della ricostruzione.

C’è anche Roma, nella grande partita del dopoguerra, ed è un po’ surreale che di dopoguerra non si senta neanche l’odore. Del resto, ogni paese occidentale si è già lanciato sulle macerie dell’Ucraina. La stessa visita di Urso e Bonomi serviva a dare seguito a un memorandum di assistenza firmato a giugno con il governo Zelensky. A quell’epoca, la Banca mondiale calcolava in 350 miliardi le spese per la ricostruzione. Oggi sono più che raddoppiate.

CONFERENZE sulla ricostruzione dell’Ucraina fioccano da mesi anche in Italia, l’ultima il 15 novembre scorso, patrocinata tra gli altri dallo stesso ministero di Urso. E fioccano anche in ogni altro paese europeo. In Francia, a metà dicembre il presidente Emmanuel Macron ne fece addirittura il centro di una conferenza internazionale “di pace” annunciata insieme a Joe Biden e tenuta a Parigi, in cui si parlò di tutto tranne che di pace, e in cui da una parte una quarantina di stati donarono oltre un miliardo di dollari, e dall’altra 700 imprese francesi furono messe in contatto con il governo Zelensky. In Germania lo scorso ottobre si è tenuto il quinto “German-Ukrainian business forum – rebuild Ukraine” – già, il quinto: il cancelliere Olaf Scholz è parecchio più avanti degli altri.

MENTRE SOTTOTRACCIA si dibatte sul come ricostruire l’Ucraina, nazione che ha un’economia oligarchico-mafiosa e un’amministrazione pubblica sotto ogni standard europeo: finanziare lo stato o aprire indiscriminatamente ai privati? La seconda è più di un’ipotesi probabile, autorevoli think tank mondiali come il Center for economic policy research di Londra già invitano alla deregulation più totale, tanto da far sbottare un Nobel per l’economia: “Sono esterrefatto”, ha detto Joseph Stieglitz. Che teme l’esportazione parabellica dello stesso programma economico che insidia il suo paese.

Tutto quanto è avvolto negli imprevisti della guerra guerreggiata, di cui non si vede la fine. Ma la partita delle armi non si gioca in visite o forum via web. Quella si giocherà a Ramstein, il 20 gennaio – territorio americano, solo geograficamente in Germania, e prossima sede del secondo vertice dell’alleanza militare per l’Ucraina: la quarantina di paesi della Nato e altri scelti tra gli alleati più vicini. Un vertice in cui il padrone di casa passerà in rassegna le truppe. Per la ricostruzione si può solo scalpitare in attesa di chi decide la griglia di partenza.