Visioni

«Unsane» , l’angoscia di questi tempi precari

«Unsane» , l’angoscia di questi tempi precariClaire Foy in una scena di «Unsane» di Steven Soderbergh

Berlinale 68 Il nuovo film di Steven Soderbergh - presentato fuori concorso - protagonista Claire Foy nei panni di una donna rinchiusa contro la sua volontà in un manicomio

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 febbraio 2018

Lo schema narrativo di partenza è semplice: una giovane donna viene rinchiusa contro la sua volontà in manicomio. Ha chiesto aiuto per l’ansia che la perseguita dopo una terribile esperienza di stalking, l’uomo che la voleva «sua» continua a apparirgli, non riesce a avere rapporti, vede una minaccia in ogni figura maschile. Il medico del centro le chiede di firmare delle carte: una formalità. Ma dopo poco la ragazza si trova spogliata di tutto, telefono, documenti, abiti in uno stanzone con altri fuori di testa: bicchierino con pillole, camicia di forza, iniezioni che stordiscono, medici e infermieri che sembrano nascondere qualcosa ma soprattutto tra loro lui, il suo molestatore …

Tra Kafka e il fulleriano Shock Corridor, Unsane il nuovo film di Steven Soderbergh (in sala in Italia il 23 marzo) è costruito su una scommessa: rendere la tensione, l’angoscia, la follia cinema senza ricorrere a una linea narrativa che non sia quella dell’ossessione della protagonista. Siamo nella testa di Sawyer Valentine (Claire Foy) un succedersi di stanze, corridoi, porte che si aprono e si chiudono, scantinati, distorsioni omicide. Dentro/fuori, fuori/dentro, lungo le linee dell’angoscia che si proiettano nella soggettiva della follia. Però: e se non fosse così? E se lei fosse davvero prigioniera di un complotto?

Fuori concorso – e piuttosto stroncato dalla critica festivaliera – Unsane – è molto più di un «esercizio di stile» (ciò che i suoi accusatori rimproverano), stratificato nei significati e nelle inquietudini che mette in campo. Il sentimento che lo attraversa è quello di una paura assoluta, lo stesso che permea i nostri tempi in cui le persone più fragili, più esposte ai ricatti sociali, sono in pericolo costante, costrette a un equilibrio precario, mentre in nome dalla «sicurezza» si cancellano i diritti.

Siamo davanti a sorta di specchio che capovolge o riflette secondo come vogliamo guardalo: possiamo scoprire un significato o un altro, decidere un punto di visto, lasciarsi sorprendere da una ambiguità, dall’oscillazione del vero-falso (la linea (cinematografica è un po’ quella di Effetti collaterali. Nella domanda «cosa stiamo guardando» Unsane è un film politico e non solo perché uno dei pazienti ci illustra con lucidità impeccabile il sistema sanitario Usa che rinchiude le persone – attenzione a firmare carte senza leggere anche i codicilli invisibili – per arricchire le assicurazioni. O perché c’è un po’ del movimento #Me Too nella rappresentazione della violenza maschile in varie gamme, dallo stalking alla subdola molestia del capoufficio verso la neoassunta giovane e carina, con una società che compatta preferisce ignorare e rinchiudere la molestata.

È soprattutto una questione di forma che al soggetto (o ai soggetti) attuali da un’immagine «aperta», che ne restituisce il senso profondo e ciò che ci riguarda giocando col cinema, le sue tecnologie, i suoi modi del racconto.

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