Uno «sbaglio imperdonabile» dall’Iran che negava tutto
Tristezza e rabbia a Teheran La tardiva assunzione di totale responsabilità per l’abbattimento del Boeing ucraino fa riesplodere la protesta di fronte all'università. Tra i 176 morti a bordo dell’aereo 82 iraniani (molti erano studenti) e diversi canadesi con doppia nazionalità
Tristezza e rabbia a Teheran La tardiva assunzione di totale responsabilità per l’abbattimento del Boeing ucraino fa riesplodere la protesta di fronte all'università. Tra i 176 morti a bordo dell’aereo 82 iraniani (molti erano studenti) e diversi canadesi con doppia nazionalità
L’abbattimento del Boeing 737-800 della compagnia di bandiera ucraina appena decollato dall’aeroporto Imam Khomeini di Teheran e diretto a Kiev è stato un «errore umano». Non sarebbe stato commesso se il presidente statunitense Trump non avesse dato ordine di uccidere il generale Soleimani, ma è anche vero che in un momento di massima tensione i vertici di Teheran avrebbero dovuto chiudere lo spazio aereo della Repubblica islamica.
LA PROTESTA ESPLOSA IERI di fronte ai cancelli dell’università Amir Kabir a Teheran, con slogan contro l’ayatollah Ali Khamenei e e molti dimostranti che portavano immagini del generale Soleimani, dimostra che alla tristezza per la perdita di tante giovani vite si somma la rabbia degli iraniani per la mancanza di trasparenza della propria leadership. L’ordine di ripulire al più presto la zona dove mercoledì si era schiantato l’aereo e i quattro giorni in cui ayatollah e pasdaran hanno negato fosse stato abbattuto da un missile, ha danneggiato la credibilità dell’Iran.
Solo nella notte tra venerdì e sabato, di fronte alle prove diffuse sui media occidentali, il generale Amirali Hajzadeh della forza aerea dei pasdaran ha ammesso che è stato un missile a colpire il Boeing. A schiacciare il bottone sarebbe stato un soldato che, a causa di un intoppo nelle comunicazioni, avrebbe lanciato il missile senza aver ricevuto alcun ordine: a causa di un guasto tecnico il Boeing stava perdendo quota e si stava avvicinando troppo a una base segreta delle Guardie rivoluzionarie. In quelle ore la tensione era ai massimi, perché poche ore prima i pasdaran avevano attaccato due basi militari statunitensi in Iraq in risposta all’assassinio di sabato 3 gennaio del loro generale Soleimani a Baghdad.
176 I MORTI, tra passeggeri e membri dell’equipaggio. 82 gli iraniani. Almeno 57 i canadesi molti dei quali avevano doppia nazionalità, anche iraniana: tornavano dopo le vacanze natalizie. A loro, si aggiungono undici ucraini e tre cittadini britannici ma anche tedeschi e afghani. Per tutti loro, il presidente ucraino Volorymyr Zelenskiv chiede scuse ufficiali da parte delle autorità iraniane, un’inchiesta approfondita e un compenso in denaro alle famiglie.
La leadership della Repubblica islamica si è assunta tutte le responsabilità, e questo serve ad alleggerire la tensione tra Teheran e l’Occidente. Su Twitter, il presidente Rohani scrive: «La Repubblica islamica dell’Iran si rammarica profondamente per questo errore disastroso. I miei pensieri e le mie preghiere vanno a tutte le famiglie in lutto. Porgo le mie condoglianze più sincere». In un altro tweet Rohani aggiunge: «Le indagini proseguiranno per identificare e perseguire gli autori di questa grande tragedia» e «questo sbaglio imperdonabile». Sempre su Twitter, il ministro degli Esteri Zarif parla di un «giorno triste» e afferma che «l’errore umano» è accaduto nel «momento di crisi causato dall’avventurismo degli Usa. Il nostro profondo rammarico, le nostre scuse e condoglianze al nostro popolo, alle famiglie di tutte le vittime e alle altre nazioni colpite».
SE TRUMP non avesse mandato i droni a uccidere Soleimani, questo tragico incidente non ci sarebbe stato. Detto questo, finché il presidente Trump sarà alla Casa Bianca, difficilmente il Medio Oriente troverà pace. A trarre vantaggio dall’attuale situazione, caratterizzata da instabilità e confusione, sono soprattutto i gruppi jihadisti presenti in Iraq.
A rallegrarsi dell’assassinio di Soleimani e al-Muhandis (il capo degli Hezbollah iracheni) sono infatti l’Isis e al-Qaeda: non possono che trarre beneficio dall’eliminazione dei due militari che per anni li hanno contrastati nella regione, impedendo la loro espansione anche grazie al sacrificio di migliaia di giovani volontari sciiti in nome della jihad difensiva ordinata dal Grande Ayatollah al-Sistani con una fatwa (decreto religioso).
ORA, MORTO SOLEIMANI, gli Stati uniti e i loro alleati hanno interrotto le operazioni contro l’Isis in Iraq e hanno anche smesso di addestrare le truppe di Baghdad. I tedeschi stanno ritirando i propri addestratori in Giordania e in Kuwait. Al momento, l’obiettivo dei soldati occidentali è difendersi dagli iraniani e dalle milizie irachene che hanno giurato vendetta contro coloro che hanno ucciso i loro uomini.
Intanto, il parlamento di Baghdad chiede il ritiro immediato degli americani. Le forze armate irachene sono state sì addestrate dai militari statunitensi, ma dal Pentagono hanno ricevuto anche un sostegno logistico che ora – dopo la risposta iraniana in seguito all’assassinio di Soleimani – viene meno.
STANDO COSÌ LE COSE, nel giro di qualche settimana i gruppi jihadisti saranno in grado di recuperare terreno. Soleimani e al-Muhandis non saranno certo stati dei bravi ragazzi, ma il loro assassinio lascia il Medio Oriente alla mercè dei gruppi jihadisti. L’obiettivo di Trump non è, evidentemente, rendere la regione più sicura, ma permettere che venga smembrata.
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