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Unhcr in Albania, non una garanzia ma un abbaglio

Il premier albanese Edi RamaIl premier albanese Edi Rama

Migranti Il coinvolgimento dell’Unhcr nel protocollo Roma-Tirana non rischia solo di legittimare un progetto che ha l’obiettivo di cancellare il diritto d’asilo, ma innesca una dinamica mistificatoria nei confronti dell’opinione pubblica […]

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 21 agosto 2024

Il coinvolgimento dell’Unhcr nel protocollo Roma-Tirana non rischia solo di legittimare un progetto che ha l’obiettivo di cancellare il diritto d’asilo, ma innesca una dinamica mistificatoria nei confronti dell’opinione pubblica e della società civile che contro un simile proposito dovrebbero battersi.

L’Unhcr era stata inizialmente esclusa dal governo dall’operazione Albania, dall’apertura di un centro fuori dal territorio italiano per portare a termine concettualmente l’operazione di esternalizzazione del diritto di asilo. Un’operazione che parte da lontano, fortemente sostenuta dalla Commissione Europea, che mira a svuotare di effettività il diritto di asilo, immaginando il suo esercizio fuori dal territorio europeo, in stato di detenzione, con tempistiche e in una condizione di isolamento tali da eliminare di fatto ogni possibilità di riconoscimento di una forma di protezione internazionale.

Era la prima volta che il governo italiano decideva di condurre un’importante operazione nel quadro della esternalizzazione senza l’apporto dell’Unhcr. Si pensi all’apertura degli hotspot o allo stesso memorandum Italia-Libia, di fatto uno dei più eclatanti crimini contro l’umanità commesso dall’Italia nel dopoguerra. All’Unchr è stato sempre assegnato un ruolo chiave, solitamente di monitoraggio, in pratica una funzione di garante senza poteri. Un meccanismo semplice: un prestigioso ente di garanzia assicura di monitorare l’operato di un’istituzione, garantendo di inviarle in modo riservato le sue segnalazioni. L’istituzione tiene in un cassetto le segnalazioni ricevute e può vantarsi di operare sotto il controllo di un garante super partes, legittimando il suo operato che prosegue senza intralci.

L’Unhcr a gennaio aveva quindi pubblicato un documento con un’apparente lettura preoccupata dell’accordo Italia-Albania, concludendo in sintesi che si riservava di esprimere un giudizio, anche eventualmente critico, nel prosieguo. In pratica, secondo i più maliziosi, minacciava il governo italiano di condannare l’operazione se non fosse stata al più presto coinvolta. E così, il governo adesso cede alle pressioni di Unhcr, includendola nell’operazione Albania, coinvolgendola con il solito ruolo di monitoraggio.

Tant’è che subito dopo l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi mostra di gradire e dichiara che l’Unhcr ha elaborato delle proposte per favorire la delocalizzazione fuori dal territorio Ue delle richieste d’asilo «più deboli».

Il risultato è ancora una volta mistificatorio. In una dialettica democratica se il governo prova a guidare l’Italia in un percorso sostanzialmente eversivo – che sovverte i principi costituzionali fino all’abrogazione di fatto del diritto di asilo – spetta alla società civile contrastare questo tentativo.

E allora la responsabilità principale rimane in capo a chi, come l’Unhcr, si eleva a presunto «alto» rappresentante dei diritti dei rifugiati, innescando una dinamica mistificatoria che spinge l’opinione pubblica a credere che esista un interlocutore critico dell’esecutivo a garanzia della dialettica democratica, che viceversa muore sotto il peso di un gioco di ruoli dettato dagli interessi dei singoli.

*Avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)

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