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Ungheria presidente Ue 2024: a Bruxelles c’è chi non la vuole

Ungheria presidente Ue 2024: a Bruxelles c’è chi non la vuole

Visegrad e oltre La rubrica settimanale sull'Est europeo a cura di Massimo Congiu

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023

Nella seconda metà del 2024 l’Ungheria dovrebbe assumere la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, ma a Bruxelles c’è un fronte di opposizione che mette in serio dubbio l’adeguatezza di Budapest a svolgere tale mansione.

Andiamo con ordine: all’inizio di giugno gli eurodeputati hanno votato a maggioranza una risoluzione non legislativa sulla questione prima menzionata. Contrari, tra gli italiani, solo i parlamentari della Lega e di Fratelli d’Italia, più un voto a sfavore da parte di Forza Italia; pareri, questi ultimi, espressi in contrasto alla linea del Partito Popolare Europeo (PPE), che aveva sostenuto la risoluzione.

Una risoluzione non vincolante, si diceva, che comunque avanza serie perplessità sul ruolo che l’Ungheria dovrebbe svolgere l’anno prossimo per un semestre.

In sintesi le ragioni dell’iniziativa vanno cercate nelle reiterate violazioni dello Stato di Diritto da parte del governo danubiano e delle pesanti discriminazioni a carico della comunità Lgbtq+ a causa dei provvedimenti concepiti dalle autorità del paese.

Non dobbiamo dimenticare che Budapest è da alcuni anni nel mirino dell’Articolo 7, un meccanismo previsto per gli stati membri considerati a rischio di violazione dei valori fondamentali dell’Ue. Nel caso dell’Ungheria le preoccupazioni di Bruxelles riguardano non solo gli aspetti prima menzionati ma anche altri problemi attribuiti alla gestione dell’esecutivo a guida Fidesz. Si parla di quindi di alti livelli di corruzione, di violazioni della libertà d’espressione e di stampa, della libertà accademica, dei diritti delle minoranze e dei rifugiati.

Va detto che l’Articolo 7, invocato con successo nel settembre del 2018 dalla relazione dell’eurodeputata Judith Sargentini, non è chiaro sulle misure che possono essere adottate nei confronti di chi devia dal seminato. L’unica indicazione chiara riguarda la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio a carico del paese membro colto in grave difetto sul piano del rispetto dei valori del blocco.

Sappiamo che il governo Orbán, i cui rapporti con Bruxelles sono sempre più “problematici”, ha sempre respinto con sdegno l’accusa del mancato rispetto dello Stato di Diritto mossa dai vertici Ue e ispirata, secondo il premier di Budapest, da quel liberalismo che è nemico del concetto di sovranità nazionale. Quanto al rapporto della Sargentini, esso era stato definito, all’epoca, dagli accusati, “una vendetta meschina dei politici favorevoli all’immigrazione”.

In realtà questa situazione conflittuale esiste dal ritorno di Orbán al potere, fatto avvenuto nella primavera del 2010. Da allora c’è voluto poco tempo perché il sistema di potere creato dall’”uomo forte d’Ungheria” concepisse e facesse approvare leggi e disposizioni dai contenuti contrastanti con i principi comunitari.

A lungo si è parlato di reazioni troppo blande da parte di Bruxelles a fronte di iniziative che Orbán e i suoi hanno sempre difeso come prodotto di una volontà nazionale anche se il paese è profondamente diviso sul piano politico e non solo. Al di là di questo, per gli arancioni del Fidesz il punto fermo è che ogni paese ha il diritto di fare le scelte che ritiene più opportune senza dover subire ingerenze esterne.

Sì, magari finora l’Ue si è limitata a tirare le orecchie al paese arrivando, più che altro, a trattenere i fondi comunitari spettanti all’Ungheria in cambio di aggiustamenti concreti sul piano dei diritti, della libertà e della trasparenza.

Insomma, tutto questo fino ad arrivare alla risoluzione dello scorso giugno e della posizione di un gruppo di eurodeputati che vorrebbero negare a Budapest la presidenza di turno del Consiglio Ue prevista, come si diceva, nella seconda metà dell’anno prossimo.

Ovviamente si tratta di una decisione che spetta solo al Consiglio ma, allo stato attuale dei fatti e, in generale, non sembra proprio facile. In fondo, un provvedimento di questo genere, rischierebbe di creare ulteriori difficoltà sul piano della già poca compattezza dell’Unione. Spingerebbe ancora più al margine lo Stato danubiano che già, a livello europeo, si trova isolato per le scelte fatte dal suo governo nel frangente della guerra in Ucraina.

C’è quindi chi, a Bruxelles e dintorni pensa a misure esemplari nei confronti di chi infrange principi comuni, il problema è poi la fattibilità della loro messa in pratica.

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