Le questioni di carattere energetico in Ungheria sono fra i temi oggetto di malumore interno. L’opposizione liberale, di centro e centro-sinistra critica la politica seguita dal governo Orbán in questo senso. Essa disapprova la scelta, fatta dall’alto, di investire nel nucleare senza aver dato vita a un dibattito preliminare sull’argomento a livello di opinione pubblica, e la sempre maggiore dipendenza del paese dalla Russia di Putin in ambito energetico.

Il dissenso esistente su questo tema coinvolge anche i rapporti all’interno dell’esecutivo: è infatti di questi giorni la notizia delle dimissioni del ministro dell’Industria e della Tecnologia, László Palkovics che è una figura prominente dell’esecutivo e in generale dell’area politica facente capo al premier. Il medesimo è noto all’opinione pubblica anche come il “pitbull di Orbán”.  Così se ne va uno dei membri più influenti di un esecutivo formatosi in seguito alle elezioni dello scorso aprile che hanno visto premiato per la quarta volta consecutiva il sistema di potere concepito dal primo ministro. 

Il motivo che ha portato Palkovics a prendere questa decisione è la linea scelta da Orbán che per favorire gli interessi della “casta” degli oligarchi a lui fedeli ha optato per il mantenimento della centrale a carbone di Mátra ostacolando in questo modo la realizzazione di impianti eolici. Senza contare che a ottobre il governo danubiano aveva annunciato una sospensione a tempo indeterminato dell’immissione in rete di elettricità da nuovo fotovoltaico perché, secondo il governo, la rete è inadeguata. 

C’è però da dire che questa decisione ha a che vedere con i negoziati tra Budapest e Commissione europea aventi al centro la richiesta di accesso ai 9,6 miliardi di euro stanziati nel quadro del fondo di ripresa Covid dell’Ue (RRF), oltre ai 7,2 miliardi di euro attesi dal fondo in questione. C’è da capire quanto tale passo compiuto dall’esecutivo ungherese sia una manovra per ottenere dalla Commissione condizioni più vantaggiose in questo ed altri campi in termini di finanziamenti. 

Fatto sta che la sospensione dell’immissione in rete di elettricità da nuovo fotovoltaico era stata definita “scioccante” dagli addetti al settore che hanno definito questa decisione “contraria agli interessi del comparto, della popolazione e del paese. 

Palkovics si è quindi dimesso per il suo dissenso nei confronti della politica portata avanti dall’esecutivo in ambito energetico, ma occorre ricordare che il suo nome è legato a iniziative del sistema di potere di Orbán pesantemente criticate a livello interno e internazionale. Palkovics è stato infatti tra i responsabili dell’”emigrazione” forzata dell’Università CEU di George Soros, considerata dal governo portatrice di valori estranei alla cultura e alla vita ungheresi. Il medesimo ha anche delle responsabilità dirette nel controllo governativo degli istituti di ricerca accademica con effetti negativi in tale ambito e nel programma di privatizzazione delle università e relativa assegnazione della loro guida a uomini fedeli al premier.

Per il leader socialista Bertalan Tóth le dimissioni di Palkovics sono “un’ammissione aperta dell’inadeguatezza della politica energetica di Orbán”. L’errore, però, sarebbe pensare che l’episodio dimostri un indebolimento del sistema di potere che governa l’Ungheria dal 2010. Più volte, purtroppo, l’opposizione e i suoi sostenitori si sono illusi che ciò stesse avvenendo.