Un’alternativa a sinistra esiste: il regionalismo solidale
Riforme Il ministro Calderoli cerca di forzare i tempi, pensando alle elezioni europee più che al buon esito dell’autonomia differenziata. In risposta, le opposizioni ripensino la strategia
Riforme Il ministro Calderoli cerca di forzare i tempi, pensando alle elezioni europee più che al buon esito dell’autonomia differenziata. In risposta, le opposizioni ripensino la strategia
Sembra che nulla riesca a frenare la folle corsa dell’autonomia differenziata, voluta – meglio, pretesa – dal ministro Calderoli. A nulla sono valse le oltre sessanta audizioni di esperti, in grande maggioranza assai critiche sul progetto.
Nessuna risposta è stata data ai puntuali rilievi tecnici espressi da soggetti terzi (Ufficio Bilancio del Senato, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Banca d’Italia), da organizzazione sindacali e imprenditoriali (Cgil, Confindustria), da istituzioni sovranazionali (Commissione europea). Neppure le dimissioni di ben sei autorevoli componenti della Commissione incaricata di definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni, motivate dal timore di non riuscire a garantire su tutto il territorio nazionale i diritti sociali e civili, ponendo in tal modo la riforma al di fuori della cornice costituzionale e spaccando l’Italia, sembrano aver scalfito le sicurezze e la fretta dell’attuale responsabile della riforma.
QUALUNQUE GOVERNO “ragionevole” avrebbe almeno chiesto una pausa di riflessione per valutare le troppe critiche rivolte, non solo dall’opposizione politica, ma anche da chi non può essere tacciato di ostilità preconcetta né all’attuale maggioranza politica, né alla riforma in sé. Invece, incredibilmente, per uscire dall’impasse il ministro cerca di forzare i tempi e vorrebbe concludere comunque l’iter entro l’anno o al più tardi nei primi mesi del 2024. Evidentemente pensando alle elezioni europee più che non al buon esito della “sua” riforma.
In questo scenario le forze politiche di opposizione devono riflettere su quale sia la migliore strategia per cercare di fermare il treno dell’autonomia differenziata. Su queste pagine Francesco Pallante, qualche giorno addietro, ha denunciato l’inadeguatezza di una opposizione che, a suo modo di vedere, si limita a scongiurare i maggiori pericoli legati al processo di differenziazione in atto, ma che al fondo accetta il disegno complessivo. Meglio sarebbe chiedere di rinunciate del tutto a ogni tipo di autonomia differenziata.
La redazione consiglia:
Mezzogiorno, salario minimo e lavoro neroConcordo sul punto che di questa autonomia non c’è nulla da salvare. Vorrei però aggiungere una riflessione che a me pare dirimente. Credo che l’acquisita consapevolezza del baratro nel quale stiamo per precipitare dovrebbe spingere le opposizioni a cercare di riacquistare la parola per indicare una possibile diversa via.
PASSARE in sostanza dalla difesa dell’esistente (l’attuale sfibrato sistema delle autonomie) ovvero della ricerca del meno peggio (una politica “migliorista” dell’autonomia differenziata), alla definizione di un altro regionalismo. Quello – per dirla in breve – di tipo solidale. Contrapporre in tal modo alle cattive ragioni dell’attuale maggioranza, le proprie buona ragioni. Passando dalla difesa all’attacco.
Si tratterebbe in sostanza di abbandonare – constatandone il fallimento – le politiche sin qui seguite. Evitando, per quanto possibile, di recriminare sul passato (chi è senza peccato scagli la prima pietra), ma mostrando finalmente di avere imparato la lezione.
NON SAREBBE un’impresa astratta o fondata solo su buoni sentimenti. Si tratterebbe invece di ripartire dalla costituzione. Perché il modello di regionalismo solidale è fissato nei principi fondamentali del nostro ordinamento: l’unità e indivisibilità della Repubblica come presupposto per poter promuovere e garantire la più ampia autonomia locale. Ma non è solo un articolo – l’articolo 5 – che deve porsi a base del rilancio dell’autonomia solidale, ma l’intero impianto della nostra costituzione che pone la dignità, la solidarietà, l’eguaglianza e il rispetto dei diritti inviolabili delle persone come presupposto e fine di ogni azione e da far valere in ogni parte del territorio nazionale.
Un modello incompatibile con il regionalismo devolutivo che guarda esclusivamente all’appropriazione di competenze e funzioni da parte dei territori ricchi del paese. Ricominciare da capo, ritornare alla costituzione inattuata, rivendicare un proprio modello, dovrebbe essere questo l’invito rivolto alle forze che si oppongono all’attuale degrado.
Non c’è da farsi illusioni, non è una questione di slogan, ma si tratta di un duro lavoro di scavo, che però può partire da subito, da significative indicazioni di priorità. Se l’attuale maggioranza si è impegnata a dare attuazione distorta (in contrasto con i principi della costituzione) all’articolo 116, III co, le opposizioni dovrebbero rilanciare proponendo di partire dall’articolo 119, V co. (che impone di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà territoriale).
NON È CHE un esempio di quel lavoro complesso e di ridefinizione dei presupposti politici e culturali che le forze progressiste che hanno esaurito la loro spinta propulsiva, e non solo in materia di autonomia, dovrebbero poter saper adottare per sentirsi dire un giorno «ben scavato, vecchia talpa».
Da ultimo, s’intende che non sottovaluto affatto la necessità in parlamento di un’opposizione netta al disegno di legge Calderoli e poi alle future intese. Dunque, alla necessità di difendersi sul terreno scelto dagli avversari, rispondendo puntualmente e in modo argomentato allo scombiccherato e pericoloso progetto di autonomia differenziata portato avanti senza se e senza ma. Rilevo soltanto che se non hai una strategia, una prospettiva alternativa, non vincerai mai.
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