La stretta del governo sul parlamento. Due episodi preoccupanti
Camera In Parlamento si è assistito a tre passaggi significativi dal punto di vista istituzionale
Camera In Parlamento si è assistito a tre passaggi significativi dal punto di vista istituzionale
Giovedì in Parlamento si è assistito a tre passaggi significativi dal punto di vista istituzionale: il primo ha mostrato come le Camere dovrebbero e potrebbero funzionare; gli altri due come esse già oggi anticipino la logica della riforma del premierato, con il parlamento ridotto ad essere una estensione delle riunioni del consiglio dei ministri. I tre passaggi sono l’approvazione alla Camera della prima tranche di modifica del regolamento interno, nonché due episodi di “Aventino” della maggioranza, in commissione di vigilanza Rai e nella giunta per le autorizzazioni di Montecitorio.
Cominciamo dalle notizie positive. Dopo un confronto in giunta per il regolamento durato diversi mesi, l’aula di Montecitorio ha approvato una serie di modifiche al regolamento interno che riguardano i tempi di esame dei provvedimenti da parte dell’aula. Come ha osservato uno dei due relatori, Federico Fornaro (Pd) – l’altro era il leghista Igor Iezzi – c’era da «trovare un corretto equilibrio» tra esigenze diverse, «tra potere esecutivo e potere legislativo, tra governabilità e rappresentanza, tra ruolo dei gruppi e dei partiti e quello del singolo deputato». Ovviamente la destra puntava a un intervento molto drastico, ma va dato atto al presidente Lorenzo Fontana di aver fatto prevalere la logica della condivisione delle regole, fino a giungere a un voto quasi unanime. È prevalso il principio dell’autonomia del parlamento rispetto agli altri poteri dello Stato: autonomia dell’istituzione vocata alla rappresentanza delle diverse posizioni, che devono avere spazi e tempi per esprimersi.
Il nuovo regolamento taglia da 30 a 10 minuti gli interventi in discussione generale dei singoli deputati, ma ciascun gruppo non vede decurtati i tempi attualmente previsti. Nella presentazione degli ordini del giorno viene abrogata la fase dell’illustrazione generale, ma sono incrementati da 5 a 8 i minuti che ciascun deputato può utilizzare per illustrare i propri atti di indirizzo. Al netto di altre limature – come la riduzione da 20 a 10 minuti del preavviso prima di iniziare le votazioni – la maggioranza ha rinunciato a toccare le 24 ore che devono intercorrere tra il momento in cui il governo pone la fiducia e quello in cui la si vota.
Sarà probabilmente oggetto della trattativa della seconda fase di modifica del regolamento, quella in cui si affronteranno temi pù complessi come lo Statuto delle opposizioni.
I due passaggi negativi registrati ieri vedono invece il governo entrare pesantemente per limitare l’autonomia del parlamento. Quando questa viene rispettata è anche il capogruppo di Fdi, Tommaso Foti – parlamentare esperto – a farsi promotore di intese. Invece ieri mattina alle 8,30, in commissione di vigilanza Rai la maggioranza non si è presentata nella seduta in cui si sarebbero dovuto votare la nomina del nuovo presidente della Rai.
Più tardi, alle 14, la scena dell’Aventino della maggioranza si è ripetuta nella giunta di autorizzazioni della Camera, chiamata a eleggere il nuovo presidente, dopo le dimissioni di Enrico Costa. Il candidato unico delle opposizioni Devis Dori (Avs), non è stato eletto per l’assenza del numero legale. Un dispetto per l’indisponibilità delle opposizioni a votare la candidata delle destre alla presidenza della Rai in commissione di vigilanza. Qui è richiesto un quorum qualificato, in assenza del quale le destre hanno preferito disertare la commissione. Ma questa dinamica è stata imposta dal governo sui gruppi parlamentari del centrodestra, per imporre come presidente Rai l’esponente del Cda indicata dal Tesoro, Simona Agnes.
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