Europa

Una strage al giorno: nel Mediterraneo sei vittime ogni 24 ore

Una strage al giorno: nel Mediterraneo sei vittime ogni 24 oreUn gruppo di migranti soccorsi al largo delle coste libiche

Africa/Europa I numeri choc dell’Unhcr: nel 2018 2.275 migranti hanno perso la vita in mare, un decesso ogni 14 arrivi per l’assenza di soccorsi. Filippo Grandi: «Si è creata una corsa tra paesi a non prendere migranti, quasi una gara contro la solidarietà dettata da motivi politici. C’è un’atmosfera tossica»

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 31 gennaio 2019

Attraversare il Mediterraneo centrale significa affrontare la rotta più letale al mondo: il tasso di mortalità dei migranti che dalla Libia si imbarcano verso l’Italia o Malta è più che raddoppiato lo scorso anno, quando le missioni di ricerca e soccorso delle ong sono state quasi azzerate e molti Stati hanno cambiato le loro politiche nei confronti dei migranti.

A certificarlo è il rapporto «Viaggi disperati» pubblicato ieri dall’Unhcr, l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni unite. Nonostante il significativo calo del numero di arrivi nelle coste europee, sono state circa 2.275 le persone morte o scomparse attraversando il Mediterraneo nel 2018, un decesso ogni 14 arrivi. Il tasso era uno su 38 nel 2017.

La traversata verso l’Europa è costata una media di sei vite al giorno. Se l’Europa si è sottratta, la Guardia costiera di Tripoli ha intensificato le operazioni: l’85% di chi parte viene riportato in Libia dove finisce nei centri di detenzione in condizioni terribili. In balia di milizie e degli stessi trafficanti, sono rinchiusi senza acqua né cibo per giorni, soggetti a torture, stupri ed epidemie.

Tra il 2017 e il 2018 gli arrivi in Europa sono scesi da 172.324 a 139.300, il numero più basso degli ultimi cinque anni. I flussi sono cambiati: se in Italia si è passati da 119.400 a 23.400, sono saliti in Grecia (da 35.400 a 50.500) e in Spagna (da 28.300 a 65.400). Così, nel Mediterraneo occidentale, i decessi sono cresciuti: da 202 nel 2017 a 777 nel 2018. La politica dei porti chiusi ha anche attivato la rotta via terra: in circa 24mila sono arrivati in Bosnia-Erzegovina attraverso i Balcani occidentali.

«Salvare vite in mare non è un’opzione né una questione politica, ma un imperativo primordiale – ha spiegato Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati – Possiamo porre fine a queste tragedie con un approccio basato sulla cooperazione e focalizzato sulla vita e la dignità umana». Cioè l’opposto di quanto successo nell’ultimo anno, con gli Stati europei impegnati a far valere il proprio interesse.

Il risultato sono state le navi delle ong bloccate in mare con i naufraghi per lunghi periodi senza porto di sbarco, in violazione delle norme internazionali. L’Unhcr sottolinea, poi, che l’intero viaggio per i migranti è «un incubo» che li espone a torture, stupri e sequestri a scopo d’estorsione: «Gli Stati devono agire con urgenza per scardinare le reti dei trafficanti e consegnarli alla giustizia».

Grandi accusa: «L’afflusso registrato nell’Ue nel 2018 è gestibile. Ci sono paesi in Africa o in Asia dove 139mila persone arrivano in un mese e ce la fanno». Secondo Grandi, il dato positivo riguarda i ricollocamenti che, pure in mancanza di una linea comune, alla fine si ottengono: «Nonostante lo stallo politico, rispetto all’avanzamento di un approccio regionale ai soccorsi e agli sbarchi, diversi Stati hanno assunto l’impegno di ricollocare le persone soccorse nel Mediterraneo centrale, una potenziale base per una soluzione duratura. Gli Stati hanno inoltre promesso migliaia di posti destinati al reinsediamento per permettere l’evacuazione dei rifugiati dalla Libia. L’Italia si è impegnata per 400 e, in parte, è stato questo governo».

Resta da parte dell’Alto commissario il giudizio negativo sui paesi Ue: «L’Europa può gestire il fenomeno, ci vuole al più presto almeno un accordo temporaneo tra volenterosi in modo da poter fare gli sbarchi senza provocare ogni volta tensioni, senza intossicare il dibattito per fini politico-elettorali».

Per poi attaccare: «I governi spostano il problema fuori dai loro confini invece di risolverlo. In Libia i paesi europei hanno rafforzato solo la Guardia costiera, perché questo contribuisce a ridurre gli sbarchi, ma i migranti salvati entrano nel circolo vizioso dei centri di detenzione in condizioni orribili».

E ancora: «Bisogna intervenire su tutto il contesto libico in modo che anche lì queste persone possano essere gestite in maniera umana». Sulle ong: «Rifiuto le accuse mosse loro. La capacità di salvataggio di ong e privati deve essere mantenuta, non può essere vista come un fattore che incentiva le partenze. La presenza di queste navi nel Mediterraneo centrale si è ridotta da 10 a 2 ed è stata una delle cause dell’aumento del tasso di mortalità».

La conclusione è amara: «Si è creata una corsa tra paesi a non prendere migranti, quasi una gara contro la solidarietà dettata da motivi politici interni. Non vedo la volontà di risolvere i problemi, c’è un’atmosfera tossica».

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