Fiumi a secco e mancanza di elettricità stanno piegando la Cina, colpita da un’ondata di caldo record con temperature oltre i 40°C. Il paese sta vivendo l’estate più calda degli ultimi 60 anni e fa i conti con una preoccupante crisi idroelettrica, alimentata dall’aumento della domanda di elettricità del 25% per azionare i condizionatori d’aria.

È l’ennesimo grattacapo per il Partito comunista cinese, già alle prese con un’economia in fase di rallentamento, una crescente disoccupazione giovanile e un settore immobiliare in crisi.

Con laghi e affluenti ritirati a causa della prolungata siccità che ha colpito la Cina da oltre due mesi, Pechino potrebbe presto essere costretta a fare a meno del motore che ha alimentato la crescita: l’acqua.

I DECENNI DI CRESCITA economica incontrollata, combinati con politiche di sicurezza alimentare che mirano all’autosufficienza nazionale, hanno messo in ginocchio il sistema idrico della Cina settentrionale. E le conseguenze adesso sono tangibili anche nel sud del Paese.

L’epicentro della nuova emergenza è nella regione del Sichuan, che utilizza l’80% di fonti idroelettriche e che nelle ultime settimane ha registrato il livello di precipitazioni più basso di sempre. A peggiorare il quadro è la condizione del fiume Yangtze – il terzo affluente più grande del mondo che fornisce acqua potabile a oltre 400 milioni di cinesi – che ha ridotto del 50% la sua portata e limitato il bacino idrico delle numerose dighe del Sichuan.

LE AUTORITÀ LOCALI hanno attivato il più alto livello di emergenza, imponendo la riduzione dell’input energetico delle grandi centrali idroelettriche e la chiusura di molte fabbriche. A pagarne le spese sono anche i colossi internazionali, come Toyota, Tesla e Foxconn che hanno dovuto sospendere l’attività produttiva rivivendo lo spettro della chiusura imposta durante il lockdown a Shanghai.

Nel Sichuan vengono prodotte batterie al litio, fondamentali per le auto elettriche, ma anche prodotti chimici, pannelli solari, acciaio. La siccità potrebbe colpire l’approvvigionamento globale dei prodotti cinesi a cui, sottolinea Foreign Affairs, l’economia mondiale non è ancora pronta.

I GOVERNI LOCALI, in difficoltà per la fornitura a intermittenza di corrente elettrica a diversi centri urbani e agricoli, hanno dovuto scegliere a quali settori produttivi destinare l’energia. Per risparmiare elettricità, i centri commerciali di Chongqing possono aprire solo dalle 16 alle 21, mentre a Shanghai è stata temporaneamente spenta l’illuminazione notturna che caratterizza lo skyline.

In mancanza di irrigazione dei campi cresce anche il timore di danni all’agricoltura, in particolare a riso, soia, grano e mais. Quattro dipartimenti governativi hanno dichiarato la «grave minaccia» per l’agricoltura, sollecitando le amministrazioni locali a risparmiare più acqua possibile, anche con il ricorso a modalità di irrigazione scaglionata e al cloud seeding, la tecnica che cambia la quantità e il tipo di precipitazione, inserendo nelle nubi sostanze chimiche che fungono da nuclei di condensazione per favorire le precipitazioni.

LA LEADERSHIP cinese non dimentica quanto le carestie, provocate dalla siccità, siano state la causa di rivolte popolari che hanno rovesciato diverse dinastie in età imperiale. Il governo centrale non vuole registrare un altro malcontento a poche settimane dal XX Congresso del Partito, dopo quello emerso per le conseguenze economiche della politica Zero-Covid. Le previsioni di crescita del Pil cinese per il 2022 non sono positive: Goldman Sachs le ha abbassate dal 3,3% al 3%.

Per aiutare le amministrazioni locali, il Consiglio di Stato ha approvato una nuova quota di obbligazioni di 200 miliardi di yuan (29 miliardi di dollari) per le società di produzione di energia del paese e un ulteriore sussidio agricolo di 10 miliardi di yuan per combattere la siccità e aiutare la raccolta del riso della nazione.

LA PERDURANTE SICCITÀ mette tuttavia in discussione anche gli obiettivi climatici fissati dal presidente Xi Jinping. La Cina, tra i principali emettitori di gas serra, si è impegnata a raggiungere il picco di emissioni di Co2 entro il 2030 per poi raggiungere entro il 2060 la neutralità carbonica.

Un percorso realizzabile solo grazie alle energie rinnovabili. Nonostante i progressi registrati negli ultimi anni, la Cina dipende a livello energetico per il 18% dall’idroelettrico e per oltre il 60 dal carbone (in calo rispetto a +75% nel 2010).

Con la nuova emergenza, Pechino ha dato il via all’aumento di produzione di carbone, mettendo nel cassetto i piani per la lotta al cambiamento climatico. Si prospetta un periodo difficile per Xi: il terzo mandato che probabilmente otterrà non lo metterà a riparo dalle stanchezza e le critiche dei cinesi.