Cultura

Una ninna nanna scuote l’infanzia difficile a Teheran

Una ninna nanna scuote l’infanzia difficile a Teheran

GRAPHIC NOVEL Una intervista con l'iraniana Nassim Honaryar

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 17 gennaio 2020

«Ho raccontato ciò che ho visto, cose che spesso non corrispondono a ciò che vorremmo vedere: la povertà, il disagio, l’indifferenza dello Stato». Il colloquio telefonico con Nassim Honaryar – iraniana trapiantata in Italia da 14 anni e autrice e disegnatrice di Ninna Nanna a Teheran (Rizzoli, pp. 160, euro 17) – avviene a ridosso del Natale, ma la compassione nella voce verso i bambini di cui ha raccontato le storie non ha nulla a che fare con il «buonismo da festività». «Indigenti, disabili, vedove: sono tutti costretti a far lavorare i propri figli, a volte anche molto piccoli, perché portino un po’ di soldi a casa», spiega.

SCORRENDO LE STRISCE della graphic novel concepita da Honayrar tornano in mente I bambini del paradiso di Majid Majidi. La pellicola del 1999, già candidata all’Oscar come miglior film straniero, è la storia di due fratellini iraniani che cercano di preservare i genitori dalla brutta notizia di aver perso le scarpe, le uniche possedute. Sono poveri e sanno che non potranno permettersene di nuove. I bambini di Majidi, Ali e Zahra, sono diversi da quelli di Honaryar: i primi sono fragili, deboli e indifesi; i secondi scaltri, smaliziati e delusi dalla vita. C’è una cosa, però, che li accomuna: la tenacia.

L’incredibile voglia di farcela che spinge i due fratellini per tutta la città alla ricerca di quel paio di scarpe e che guida il gruppetto di ragazzini di Tehran a inventare qualsiasi espediente per sbarcare il lunario e resistere all’oppressione degli sfruttatori. «Vorrei avere le ali per volare sopra tutti i casini», dice uno dei bambini mentre, insieme a un gruppetto di compagni, progetta la fuga dal luogo in cui i «protettori» li tengono chiusi per la notte. «È incredibile che situazioni simili accadano tutt’oggi senza che il governo faccia qualcosa. Non stiamo parlando di cento anni fa, ma di ieri», è l’indignazione di Nassim mentre racconta la genesi del suo libro. «Sono riuscita a raccontare queste cose anche grazie alla lontananza dall’Iran: non voglio essere ingrata, ma vivere altrove mi ha insegnato a cogliere le bellezze e anche le zone d’ombra del mio Paese».

IL SUO È INFATTI UN RITRATTO fedele dell’Iran contemporaneo dove anche il disinteresse e l’impotenza dello Stato sono evidenti, pur non essendo stati tracciati da una riga di matita. Nassim Honaryar racconta con dovizia di particolari la condizione della periferia di Tehran: «Sembra addirittura una città diversa dal centro. Oltre a un tasso di delinquenza e povertà molto più alto, anche la percentuale di bambini scolarizzati decresce in modo impressionante non appena ci si allontana dai quartieri bene della città e questo chiaramente si ripercuote non solo sulla vita presente delle giovani generazioni ma anche sul futuro: loro saranno i poveri di domani, gli indigenti di cui lo Stato non si occupa. Ecco perché raccontare quella vita, e farlo attraverso le esperienze dei bambini, mi sembrava il modo più efficace». Nassim non sa se il suo libro verrà mai tradotto e distribuito in Iran. Sperandoci, conclude: «mi farebbero cancellare la scena della ragazza poco vestita».

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