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Una Mostra «diversa» per rioccupare lo spazio pubblico della sala

Una Mostra «diversa» per rioccupare lo spazio pubblico della salaL'allestimento della Sala Grande – La Presse

Venezia 77 Si parte oggi con la proiezione di «Lacci» di Luchetti, in cartellone 21 titoli italiani da Rosi a Nicchiarelli. Fra misure di sicurezza ferree, la scommessa del Festival per la «ripartenza» del sistema cinema

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 2 settembre 2020

Il festival della ripartenza. Lo è diventato subito, appena annunciato, la Mostra del cinema di Venezia che si inaugura oggi con Lacci di Daniele Luchetti (in sala dal primo ottobre) dal romanzo di Domenico Starnone per «occupare» fino al 12 settembre fisicamente, in presenza, le sale cinematografiche promuovendo – o almeno in moltissimi ci sperano – quel ritorno nei cinema cancellati dal lockdown, che nonostante le riaperture sono per lo più ancora fermi. Mancanza di titoli, che dovrebbero arrivare dal Lido – per molti è prevista un’uscita quasi in contemporanea – ma anche di pubblico che pare ancora spaventato all’idea di tornare in sala – del resto: non che al ristorante o al bar sia diverso, quando finirà l’estate si mangerà dentro e certo la mascherina è impossibile. Anche per questo la cerimonia di inaugurazione, con madrina Anna Foglietta sarà trasmessa in contemporanea in 100 sale italiane.

LA QUESTIONE riguarda ovviamente l’intero settore anche se sono le sale a essere maggiormente penalizzate; nei prossimi mesi i film rimasti bloccati dal lockdown saranno finiti, alcuni lo sono già, e in questo tempo le multinazionali delle piattaforme, Netflix, Amazon, Apple, Disney così come le major e anche le distribuzioni più piccole hanno capito che si può tornare sul set, rimettere quindi in moto l’industria senza necessità della sala. Il «caso» Mulan lo dimostra, era uno dei due titoli – insieme a Tenet – salvifico, la cui uscita americana è stata rinviata più volte secondo le impennate della curva della pandemia in America – fino a che Disney ha deciso il passaggio diretto in streaming.

NEL FRATTEMPO i festival si sono rivolti all’online, totale o parziale per necessità scoprendone in diversi campi la convenienza, persino quelli grandi, vedi Toronto, offrono web screening al pubblico e agli accreditati più sintonizzati ai timori del momento, e alla politica di promozione via zoom – che permette tagli di costi notevoli – in primis appunto delle piattaforme che dal lockdwn escono rafforzate in ogni senso. Basta sfogliare i loro ricchi listini di produzione in cui si annunciano titoli attesi per l’autunno finora senza uscita in sala: On the Rocks di Sofia Coppola atteso in ottobre su Apple tv, o The Trial of the Chicago 7 di Aaron Sorkin (prodotto da Spielberg), che uscirà sempre ad ottobre su Netflix.

MOLTO dipende dalla situazione americana paralizzata dal virus, con le principali catene cinematografiche del Paese chiuse al punto che Tenet è stato fatto uscire prima in Europa – con ottimi risultati al box office – ma con molte incertezze sul dove e come che si riflettono anche qui, per fare un esempio il sistema francese i cui finanziamenti sono basati sulle avance sur recettes – ovvero la tassa sulla vendita dei biglietti– rischia di collassare.
A guardare più da vicino la pandemia ha accelerato alcuni processi che erano presenti, perché almeno in Italia il mercato nell’equilibrio distribuzione e sale era molto precario, e non pensiamo ai Tenet ma a tanti altri film spesso meteore nei circuiti (Cinema?) per una manciata di giorni. Sarebbe bello perciò parlare di «partenza» invece che di «ripartenza» immaginando un sistema un po’ diverso. Impossibile? Forse. Però l’idea di riprendere lo spazio pubblico – che quello è la sala cinematografica – è già qualcosa, e non per nostalgia novecentesca o barthesiana del «contatto laterale»: ritrovarsi seppure distanziati senza baci e abbracci – e pensare che la sala era nell’immaginario il rifugio prediletto degli amanti – è importante.

SOLO QUESTO vale la Mostra, solo per questo citando il suo direttore artistico Alberto Barbera si doveva fare. Sarà difficile, forse faticoso, di certo strano ma non più di quanto abbiamo vissuto finora: le norme per la sicurezza sono ferree, ancora ieri ribadite in una lettera agli accreditati, la zona intorno al palazzo del cinema è blindata, controllo della temperatura corporea, mascherine, distanziamento – che poi a Venezia né il sindaco Brugnaro né il governatore Zaia si preoccupino del distanziamento sui vaporetti è «altra» storia – prenotazione obbligata per tutti, red carpet protetto da un muro, niente selfie per gli attori con i fan.
Nel cartellone 21 film italiani – nazionale anche il titolo di chiusura, Lasciami andare di Stefano Mordini – e poi Gianfranco Rosi (Notturno), Emma Dante (Le sorelle Macaluso), Susanna Nicchiarelli (Miss Marx), in concorso, mentre in Orizzonti Parenti e D’Anolfi presentano Guerra e Pace e fuori concorso c’è anche Assandira di Salvatore Mereu.

CHE MOSTRA sarà dunque? Diversa certamente e pensare che poteva essere la «solita» Mostra è solo malafede così come le critiche avanzate da più parti, meglio saltare, meglio soprassedere (ieri i giornali di destra), c’è poco glamour, non ci sono star. Sarà diversa, per tutte le ragioni e le difficoltà mondiali dette e perché non potrebbe essere altrimenti nella realtà che stiamo vivendo, una fase di passaggio e di ridefinizione anche per il sistema cinema che probabilmente cambierà perché appunto già stava mutando ma come e con quali modalità va stabilito o almeno ci si deve provare. La Mostra è anche questo.

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