Chimera, un sogno lontano, impossibile da raggiungere, è soprattutto belva multiforme, composta di parti mostruose e vomitante fuoco: al cinema ce n’è bisogno. Così il film di Alice Rohrwacher riconcilia con la sala quasi sempre invasa da operine composte e compagnie di giro e provoca ancora il gusto del rischio. Presentato fin dalla prima a Cannes perlopiù come film sognante e misterioso è un film di tesori nascosti non solo di opere d’arte, ma anche, non secondario, una immersione negli oscuri meandri delle cineteche, degli spezzoni dimenticati, dei volti di attori rimasti a galleggiare nella memoria, un racconto mai fatto di mai scene madri, ma di atmosfere significative, come fossero preziosi recuperi di tagli di montaggio.

Alla fine ci accorgeremo di esserci trovati tra ricordi di film d’epoca sepolti nella memoria, dopo esserci lasciati accarezzare dalla solare atmosfera agreste in cui è ambientata la vicenda (come negli altri film della regista) storia tanto eccentrica da essere spinti a seguire ogni snodo imprevedibile di racconto.

TRA SOGNO E REALTÀ appare il film fin dall’incipit, quando il protagonista viaggia, rilasciato con il foglio di via, su un treno affollato di personaggi nei vagoni e nei corridoi, come sui treni popolari dei film degli anni cinquanta con l’improvvisa comparsa del controllore. Il colore paglierino delle erbe, del sole della bella stagione, contrasta con l’oscurità e le tenebre che attirano irresistibilmente il protagonista, Arthur (Josh O’Connor era in La terra di Dio di Francis Lee, il principe Carlo nella serie The Crown e soprattutto ha interpretato Lawrence in The Durrells), un archeologo inglese correttamente in abito di lino chiaro da viaggiatore al sud, dandy stazzonato e un po’ infangato, che vive tra le lamiere come fosse in una suite. Possiede il dono per sapere con esattezza, come un rabdomante, il luogo preciso dove individuare tombe etrusche da svuotare, business da condividere con una banda di cialtroni del luogo, senza curarsi del guadagno quanto della scoperta (e il titolo non può non rimandare anche al celebre ritrovamento del reperto etrusco della «Chimera di Arezzo»).

Film di tesori nascosti, di originale ricchezza compositiva

Arthur con la sua aria trasognata ci collega al mondo delle ombre, quello da cui lui è attratto irresistibilmente nel ricordo della sua ragazza scomparsa, Beniamina, figlia della signora decaduta del paese che vive nel palazzo in rovina tenuto insieme dal rango e dalle buone maniere. Troneggia in quel ruolo autorevole Isabella Rossellini che nel gioco dei riferimenti cinematografici, basta il suo nome a rendere centrale e significativa. L’archeologo, un «Lazzaro» infelice, malinconico, senza pace è risvegliato brevemente dall’energia di una bruna ragazza alla pari (la brasiliana Carol Duarte) per ritornare poi nelle viscere della terra.

IL SUO PERSONAGGIO evoca la numerosa presenza angloamericana sui set italiani degli anni cinquanta, un territorio attraversato dalle baraonde felliniane di saltimbanchi e a seguire dai giovanotti pasoliniani di corsa sui terrapieni di campagna, proprio come la banda di tombaroli di basso livello. Finché non compare il cervello degli affari, un misterioso e blindatissimo personaggio chiamato Spartaco, che si rivela essere una gelida donna d’affari (Alba Rohrwacher), così lontana dalle sottili emozioni espresse da Arthur, la sola capace di trarre vero vantaggio dai reperti per i suoi agganci internazionali, soprattutto in occasione di un ultimo ritrovamento sensazionale, in una zona devastata dalle fabbriche.

La ricchezza compositiva del film aperto a un’ampia gamma di modulazioni, con riferimenti colti espressi con un linguaggio innovativo, intessuto di commedia e malinconia, amore e morte (sempre in chiave sussurrata), offre l’occasione per mostrare la doppia faccia del territorio, da una parte ricco di storia e ricchezze anche culturali dimenticate (tra gli etruschi erano le donne ad avere il potere, si dice) e dall’altra la progressiva rovina di un territorio saccheggiato, ma non dai cercatori di tesori, che in ogni parte d’Italia hanno popolato le leggende locali.