Cultura

Una lunga notte di solitudine nell’«Alloggio segreto» di Anne

Una lunga notte di solitudine nell’«Alloggio segreto» di AnneRiapertura del museo-casa di Anne Frank

Scaffale L'autrice francese Lola Lafon racconta la sua esperienza sulla soglia della camera della ragazzina ebrea che scrisse il celebre «Diario»: «Quando ascolterai questa canzone», per Einaudi

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 26 gennaio 2024

Non una biografia, non un reportage letterario, non un saggio: elusivo e sfuggente Quando ascolterai questa canzone di Lola Lafon (Einaudi, tradotto da Silvia Manzio, pp. 160, euro 17,50) è un viaggio nel tempo e nello spazio a partire da un luogo che avrebbe tutte le caratteristiche per essere claustrofobico e che si rivela, invece, denso di storie, di persone, di vita. Un luogo che trasforma, fa emergere pezzi di sé e risveglia connessioni tra passato e futuro.
È il 18 agosto 2021 quando Lafon decide di passare una notte ad Amsterdam dentro l’Alloggio segreto, la soffitta dove Anne Frank scrisse il suo diario di adolescente ebrea reclusa e dove si nascose per due anni con la sua famiglia durante la persecuzione nazista. Sarà una notte di solitudine e pensieri che nessuno, finora, è riuscito ad affrontare.

È UN’ANSIA SOTTILE e crescente che prende corpo durante la preparazione della notte al Museo in cui la «casa prigione» è stata trasformata: incontri e letture si inseguono e sembra impossibile che lascino spazio per parole nuove: «Quanto è amata questa ragazza ebrea che non c’è più, la vittima della Shoah più famosa al mondo, la vittima della Shoah il cui diario è più letto al mondo anche se gli manca la fine». Eppure, se le emozioni stentano a comporsi in mosaico compiuto, proprio nel corso della notte, giunge prepotente il potere della scrittura: «È un gesto di speranza ostinato – afferma Lafon –. La dimostrazione di un’attesa insensata». Un desiderio di scrivere che unisce in modo paradossale, al di là del tempo e dello spazio, non solo la giovane Anne con la scrittrice francese ma l’imperativo dell’Archivio Ringelblum del ghetto di Varsavia agli altri, e meno noti, i diari della persecuzione ai volumi dei loro discendenti sopravvissuti, malgrado tutto, all’odio e che tentano, grazie alla scrittura, di darsi conto e ragione della propria vita. Scrittura, anzi, come prova dell’esistenza in vita.
Il neonato diventa così una dimostrazione di sopravvivenza: «non potrà accontentarsi di esistere – scrive Lafon – Erediterà un dovere: quello di vivere più forte, per e al posto degli scomparsi», perché «quando l’albero genealogico è stato estirpato, la nascita di un figlio assume un’importanza particolare: il neonato diventa dimostrazione di sopravvivenza», ma «se la memoria si sgretola, le parole, invece, restano intatte, sono la nostra geografia del tempo».

COSÌ LA STORIA della famiglia Frank – che prosegue fino al ritorno del padre Otto dal campo di sterminio – si dipana accanto a quella del Diario, del suo ritrovamento e della sua pubblicazione nel dopoguerra, insieme alle vicende della famiglia Lafon e al racconto di quella notte al museo. E insieme narra del Diario trasformato in libro che tramuta l’adolescente Anne in scrittrice. Fili che si intrecciano in una scrittura precisa ed elusiva a un tempo, trattenuta in una costruzione rapida e fluida: per sapere quello che provo «dovrei raccontarmelo, dovrei scriverlo. Il presente che non scrivo resta sfocato, come un bozzetto senza contorni. È scrivendo quello che vivo che capisco quello che vivo».
Una lunga notte in cui l’autrice arresta pensieri e parole sulla soglia della camera di Anne: «La porta della sua stanza è socchiusa. Vorrei poter dire di esserci entrata, di essermici raccolta, di essere stata invasa dalla calma, di aver pianto. Ma c’è qualcosa di diffuso che me lo impedisce, e che non so definire».

DUE EBRAICITÀ che si incontrano: quella imposta dalle persecuzioni all’adolescente tedesca-olandese e quella di un’autrice contemporanea cresciuta tra Sofia, Bucarest e la Francia. Una donna «la cui mente si annebbia non appena si sfiora l’argomento. Al liceo ho evitato le lezioni dedicate alla Seconda guerra mondiale. Affermo che non ho bisogno di vedere, di leggere: so questa storia (…) ma una storia a cui mancano paragrafi interi non può essere raccontata. E la storia che conosco è un racconto crivellato di silenzi, che la terza generazione dopo la Shoah, la mia, ha ereditato» perché «nascere dopo significa vivere perennemente in debito».
Il 4 agosto del 1944 la Gestapo irrompe nell’Alloggio segreto mentre Lola Lafon trova la forza di aprire la porta della stanza di Anne solo alle sei del mattino di quella notte al museo, il 18 agosto 2021, e ne reca con sé un viatico difficile che al più noto e ottimistico «credo tutt’ora all’intima bontà dell’uomo» del Diario di Anne Frank aggiunge l’urgenza di un altro brano meno conosciuto: «Non credo che la guerra sia causata solo dagli uomini grandi, dai governanti e dai capitalisti. No, il piccolo uomo la fa altrettanto volentieri, altrimenti i popoli si sarebbero ribellati già da molto tempo. Nell’uomo c’è proprio l’impulso di distruggere, di uccidere, di assassinare e infierire».

MA L’ALBA ORAMAI sta per sorgere e «i fantasmi ci attendono, hanno tutto il tempo del mondo, quello che noi non abbiamo (…) Aspettano che accettiamo di essere sconcertati, soltanto allora potremo far posto a quelli che diciamo di aver ’perso’. Li ritroviamo». Anne è tra loro.

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