Il momento più alto del palmarès è la standing ovation a Roger Corman presentato da Tarantino: «Il mio cinema non conosce inibizioni» dice. Sarebbe bello che fosse così anche oggi. Poi l’attacco di Justine Triet, appena presa la Palma d’oro, al governo di Macron, alla sua repressione violenta degli scioperi e al neoliberismo che frammenta il cinema e uccide l’eccezione culturale francese «grazie alla quale io sono qui».

Le scelte della giuria presieduta da Ruben Östlund erano invece abbastanza annunciate, anche se nel verdetto ci sono state scollature a cominciare dal premio a Le foglie morte di Kaurismaki, una meraviglia di libertà al cinema, che meritava la Palma, e al quale invece questo Premio della giuria sembra un po’ «obbligato». E poi i premi agli attori, Koji Yakusho, magnifico interprete di molto cinema giapponese, da Aoyama a Kiyoshi Kurosawa, che dà al protagonista del film di Wim Wenders, Perfect Days, la giusta intensità di gesti, silenzi, emozioni. E Merve Dizdar, protagonista per di Nuri Bilge Ceylan in About Dry Grasses, che lo ha dedicato a «tutte le donne che condividono la sua condizione».
Che Jonathan Glazer fosse tra i vincitori – il Gran Prix era nelle cose, il suo The Zone of Interest, ispirato al libro di Martin Amis morto qualche giorno fa, che tanto piace a quella cinefilia alla disperata ricerca di dispositivi autoritari (mal digeriti) – è perfettamente accordato alla stessa idea di «provocazione» portata avanti da Östlund, tra cinismo e presunzione.
La «banalità del male» dell’Olocausto in forma di reality show nella vita famigliare del comandante di Auschwitz, che finisce per compiacersi dei propri mezzi. O dei suoi protagonisti?

Ugualmente «programmatica» la Palma d’oro 2023, assegnata al noir processuale – ormai genere dominante nel cinema d’oltralpe – di Triet, regista francese iper sostenuta dal festival, con protagonista Sandra Hüller – anche nel film di Glazer –, Anatomia di una caduta di un matrimonio, di un sentimento, di una verità. Ma il cinema nazionale aveva bisogno di affermazioni, e dunque ecco la miglior regia allo stucchevole La passion de Doudin Bouffant di Tran Anh Hung, regista molto premiato, vinse il Leone d’oro con Cyclo, e fu candidato all’Oscar per Il profumo della papaya verde, 1993 – con la sua celebrazione della felicità domestica. L’impressione è però più che un’idea di cinema di una «compilazione». Contenti tutti dunque? Chissà.