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Un viaggio culturale in Polonia, mondi novità incontri

Un viaggio culturale in Polonia, mondi novità incontriJerzy Nowosielski, «Icona», 1966

Dall'Europa CiakPolska Film Festival 2023, l'anno dell'artista-teologo, e i murales-rurales

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 14 ottobre 2023

Il cinema polacco contemporaneo torna a riprendersi per qualche giorno la Casa del Cinema di Roma. Razzismo, intolleranza e tanto Pawel Lozinski alla prossima edizione del CiakPolska Film Festival che andrà in scena dal 27 al 30 ottobre con film quasi tutti dell’ultimo triennio. Unica eccezione la versione restaurata di The White Trail (1932), un melodramma muto ambientato tra i Monti Tatra, diretto da Adam Krzeptowski e presentato alla prima mostra di Venezia (1932). Il tema della intolleranza (dell’altro) fa da capolinea nei migliori film di finzione presentati quest’anno: Bread and Salt (2022) di Damian Kocur, quasi un «Fa’ la cosa giusta» dei nostri tempi, è incentrato sulla figura del pianista Tymoteusz che rientra in provincia soltanto per assistere al conflitto tra la comunità locale e due immigrati arabi che gestiscono un chiosco di kebab frequentato dagli amici e dal fratello. Il pane e il sale del titolo alludono nella cultura mediorientale all’alleanza tra le persone mentre in Polonia essi rappresentano un simbolo di ospitalità. Un riferimento, quest’ultimo, che va letto, non senza una certa ironia, nel film di Kocur, premio speciale della giuria Orizzonti. Tematiche affini affiorano in Silent Land (2021), debutto al lungometraggio di Aga Woszczynska. Ambientato in Sardegna e co-prodotto dalla casa italiana Kino Produzioni, racconta le reazioni progressivamente sempre più scomposte di una coppia in vacanza a un incidente sul lavoro che coinvolge un operaio arruolato per riparare la piscina della villa affittata dai due turisti. Nonostante l’aspetto cosmopolita dei due gelidi amanti, la regista polacca dissemina qua e là alcuni richiamo alla «polonicità» dei due personaggi in una pellicola che fa pensare al primo Ruben Östlund. Tra gli attori coinvolti da Woszczynska nel film, presentato lo scorso anno a Toronto, anche il francese Jean-Marc Barr, salito alla ribalta qualche decennio fa per la sua interpretazione dell’apneista Jacques Mayol in Le Grand Bleu (1988) di Luc Besson. In cartellone anche due commedie a metà strada tra cinema e teatro, confezionate dagli studi cinematografici WFDIF nella capitale polacca: Non lasciamoci le penne! adatta anche a un pubblico infantile e Portami via interpretata da Agata Kulesza, tra i protagonisti del premio Oscar Ida (2013). Infine l’ultima giornata della rassegna si chiude con una vera e propria chicca, un documentario di Anna Zakrzewska dedicato alla realizzazione del ciclo di pannelli di stoffa colorata che compongono l’intervento Re-Enchanting the World dell’artista polacca di etnia rom Malgorzata Mirga-Tas, ospitato nel Padiglione polacco e capace di stregare critica e pubblico all’ultima Biennale d’Arte di Venezia.

Jerzy Nowosielski, sacro e profano
L’anno di Jerzy Nowosielski (1923-2011) è arrivato, e così sia. Lo ha deciso il Sejm, la camera bassa del parlamento polacco. Nel 2023 il Paese sulla Vistola sta celebrando il centenario dalla sua nascita mentre all’estero l’opera dell’artista e teologo resta ancora tutta da scoprire.

Certo che Nowosielski di commissioni e estimatori all’estero ne ha avuti, eccome, almeno nel contesto dell’arte sacra: gli affreschi nella Chiesa cattolica ucraina di Lourdes e le personali a Parigi, Londra e Vienna negli anni Sessanta sono valsi una discreta notorietà a colui che era stato assistente di Tadeusz Kantor presso l’Accademia di belle arti di Cracovia nella seconda metà degli anni Quaranta. Nelle sagome oltremodo lunghe dei suoi nudi al contempo modiglianeschi e bizantineggianti, realizzati a partire dal decennio successivo, raramente le braccia sono protese verso l’esterno. L’effetto su tela restituisce dei corpi bidimensionali con gli arti legati, quasi fossero prigionieri della propria corporalità. L’artista nato e morto a Cracovia ha operato con quel pizzico di perversione che viene richiesto da sempre a tutti i pittori cimentatisi, volente o nolente, con scene di martiri e torture. Lo aveva notato lo stesso Kantor che avrebbe ravvisato un certo «sadismo» nei nudi realizzati dal suo collaboratore. L’opera profana Il segreto dei fidanzati (1962), entrata nella collezione di Andrzej Starmach, mercante d’arte e amico di Nowosielski, presenta degli episodi laterali come in un dipinto su tavola di soggetto religioso. Ed è proprio la galleria Starmach ad ospitare quest’anno un ciclo di mostre tematiche dedicate all’artista polacco mentre al Museo nazionale di Cracovia si potrà ammirare fino al 15 ottobre una robusta selezione della sua produzione «laica».

Difficile comunque tracciare una linea chiara tra i due ambiti in cui si è mosso Nowosielski. «Di fronte a Maria la componente erotica vi è presente ma viene eseguita come anaphero, inviata verso l’alto, elevata alla realtà della salvezza. Ma l’erotismo quello non scompare, in nessun caso», aveva spiegato Nowosielski in una delle tante conversazioni avute con il giornalista e slavista Zbigniew Podgórzec, raccolte per i tipi di Znak nel 2010. Donne o madonne? A conti fatti, è assai probabile che Nowosielski verrà ricordato nei decenni a venire più per le seconde, nonostante le prime non difettino di quella ieraticità tipica delle immagini sacre. «I nudi li tratto allo stesso in cui tratto i volti nelle icone. Nella rappresentazione del corpo umano, l’icona ha sviluppato soltanto uno schema per il viso e le mani. Io vorrei fare del corpo intero di una donna, quello che l’icona fa di un volto».

Da adolescente visita il Lavra di Pocajiv, un monastero dell’Ucraina occidentale che allora si trovava in territorio polacco. E da lì che prende le mosse la sua passione incondizionata per le immagini sacre.

Negli anni successivi Nowosielski non sarebbe mai stato tenero con i suoi committenti in tunica, finendo spesso per sentirsi schiacciato tra l’incudine e il martello: «Gli ortodossi dicono che dipingo in modo troppo cattolico e i cattolici che lo faccio in modo troppo ortodosso». In molti casi il compenso offertogli dalle chiese bastava a malapena a coprire la paga dei suoi assistenti. Poi sono arrivati i problemi con l’alcool. Fino alla fine degli anni Ottanta non esisteva un vero e proprio mercato dell’arte in Polonia. A volte l’artista realizzava dei quadri di piccolo formato in cambio di una bottiglia di vodka. Quando subentra Starmach l’opera di Nowosielski viene finalmente presentata al grande pubblico del suo paese. A quel punto si è tentato di salvare il salvabile dei suoi interventi nelle chiese. Nel distretto di Wesola a Varsavia e nel quartiere di Azory a Cracovia si possono ancora ammirare le sue opere. A volte producono un effetto straniante sul visitatore. Le sue icone spesso dipinte direttamente sulle pareti lignee senza uno sfondo sembrano galleggiare in assenza di gravità come cosmonauti nello spazio della chiesa. Quella greco-cattolica di Bialy Bór, nella regione di Stettino, progettata per intero da Nowosielski negli anni Novanta, rappresenta forse la summa del percorso di un artista diventato sempre più minimalista con il trascorrere degli anni. L’edificio presenta una facciata bianca affrescata all’esterno che funge da iconostasi per le funzioni all’aria aperta. All’interno della chiesa dipinto in verde scuro, la vera iconostasi, invece, non è in muro pieno ma è accennata con tre archi rossi nel quale si inseriscono due icone. Che si esalti pure, senza fare troppi calcoli, di qui venire l’opera di Nowosielski, a condizione, però, di non farsi troppe illusioni sull’esito di tale operazione. Nella pittura di icone il «copiare» esiste e resiste nei secoli dei secoli come atto dovuto, al netto di ogni novità stilistica. Come molti altri pittori di immagini sacre, Nowosielski si è mostrato capace di innovare in un ambito considerato un capitolo chiuso nella storia dell’arte.

Alla scoperta dei Rurales nella Polonia più profonda
Col passare degli anni la «street art di campagna» sta diventando una tradizione nel Paese sulla Vistola. «Il progetto Rurales resterà in piedi fino a quando ci sarà la voglia di incontrarsi e creare insieme», racconta Robert Raczka detto Seikon, uno dei nomi dietro ai murales rurali disseminati qua e là nella Polonia profonda. E trascorso un decennio dalla realizzazione dei primi «rurali» e l’artista polacco classe 1987 ormai vive da diversi anni nella Grecia continentale. La voglia di creare lontano dai centri urbani ha anche un valore terapeutico al quale Seikon, Jay Pop, Krik Kong e gli altri «ruralisti» non sembrano disposti a rinunciare: «Dipingere è un modo per rilassarsi che offre anche una scappatina dalla realtà di tutti giorni», aggiunge l’artista formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Danzica. «Siamo partiti in direzione sud nella station wagon mezza scassata di Jay Pop riempita fino a scoppiare di pittura, sacchi a pelo. Aveva ricevuto un invito a dipingere in alcune cave in disuso nei dintorni di Opoczno per una manifestazione ciclistica. Con noi c’era anche Kuba Gozdziewicz con la sua videocamera. Nei mesi successivi abbiamo fatto altre puntate nelle campagne polacche. Dopo un paio di anni è stato presentato il primo documentario dal titolo Rurales che mostra le nostre creazioni su fabbriche in disuso, vecchie fattorie statali e ferrovie».

Il mediometraggio di Gozdziewicz e il sequel uscito nel 2017 hanno contribuito a sdoganare sul web il fenomeno dei ruralisti. Viaggiano sempre in gruppo anche se ogni partecipante conserva la propria cifra formale. Chi cerca l’omogeneità stilistica tra i nomi coinvolti nel progetto rischia di andare a sbattere contro un muro. Krik Kong ad esempio compone dei coacervi di figure caricaturali, glabre e con il naso lungo che sembrano uscite da un dipinto di Edward Dwurnik. Sebbene tendenzialmente astratto, lo stile di Seikon è cambiato nel corso degli anni: «Con il trasferimento in Grecia sono arrivate altre fonti di ispirazione ma ho avuto anche dei problemi di salute che mi hanno costretto a cambiare per un po’ il mio modo di dipingere». Seikon ci tiene a precisare che il modello rurales non può essere replicato in qualsiasi contesto: «In Grecia, ad esempio, se si escludono le classiche casette bianche da dépliant turistico tipiche delle isole, la maggioranza degli edifici rurali, realizzati in pietra, si trova quasi sempre in località di montagna di difficile accesso». Con il passare degli anni anche altre figure importanti della scena polacca come SC Szyman e Sainer hanno preso parte alle «scampagnate» creative di Jay-Pop, Seikon e soci. Libera dalla morsa frenetica della vita cittadina che tutto trasforma, la street art di campagna sembra rischiare poco o niente rispetto alla sua controparte urbana. Difficilmente un murale realizzato sul retro di un granaio abbandonato in un villaggio sperduto verrà sovrascritto da altri pezzi o vandalizzato da ignoti. Allo stesso tempo i rurali di Seikon e dei suoi colleghi mandano in cortocircuito l’idea della street art come una forma d’arte pubblica. Si è vero, i rurales non sono intrappolati nei confini angusti di una galleria d’arte cittadina ma la loro realizzazione richiede quasi sempre il via libera del proprietari dei terreni e dei fabbricati in cui sorgono. Si può dire che il processo di creazione dei rurali comincia nel momento in cui gli artisti interagiscono per la prima volta con le persone del posto.

I due documentari diretti da Gozdziewicz dimostrano che anche la Polonia rurale e politicamente conservatrice a volte sembra aperta alle novità, almeno sul piano estetico. La chiave di tutto sta nel riuscire a instaurare un rapporto di fiducia con il proprietario: «Rispettiamo la privacy dei padroni che mettono a disposizione i propri spazi». Un motivo per il quale è difficile trovare gli indirizzi dei rurali disseminati nelle campagne del paese. «Non abbiamo voluto creare una mappa dei nostri interventi. Allo stesso tempo non nascondiamo i nomi delle località nelle quali andiamo a creare dei lavori. Cosi se qualcuno è davvero interessato ai rurali ha comunque la possibilità di trovarli». Oggigiorno l’arte di strada in Polonia è sinonimo di due tendenze difficilmente conciliabili tra loro: da un lato una produzione di graffiti, murali e sticker art di qualità sui muri cittadini; dall’altro i lavori approssimativi di contenuto patriottico-militare e religioso realizzati da dilettanti, spesso provenienti dal mondo degli ultras dell’estrema destra. Un fenomeno, quest’ultimo, che ha dato vita in polacco al neologismo muraloza impiegato per descrivere la diffusione patologica in Polonia di scritte sgraziate e ritratti amatoriali che si tratti di Giovanni Paolo II o di Danuta Siedzikówna detta Inka e degli altri «soldati maledetti» i partigiani all’incontrario attivi verso la fine della seconda guerra mondiale. In questo contesto i rurali sembrano offrire una sana terza via alla street art polacca e una boccata d’aria fresca ai suoi potenziali fruitori.

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