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Un trittico Ue per aprire le casse del Fmi alla Tunisia

Un trittico Ue per aprire le casse del Fmi alla TunisiaGiorgia Meloni alla masseria a Manduria – foto Ansa

Politica La corsa contro il tempo di Von Der Leyen, Meloni e Rutte

Pubblicato più di un anno faEdizione del 11 giugno 2023

Non arriveranno a mani vuote. Il terzetto europeo che oggi atterrerà a Tunisi, formato dai premier italiano e olandese Meloni e Rutte con al centro la presidente della Commissione europea von der Leyen, porta in dote un pacchetto di aiuti che potrebbe arrivare a 900 milioni, tetto massimo di quanto la Ue è disposta a sborsare, ma più probabilmente si fermerà a 500 milioni. Non bastano neanche lontanamente a sanare una situazione oltre l’orlo del disastro ma non sono neppure un presente simbolico e soprattutto, negli auspici dell’Europa, dovrebbero essere il volano per quell’accordo decisivo con il Fmi che ancora cinque giorni fa pareva lontanissimo. È in campo l’Europa non solo per la presenza della presidente della Commissione ma perché, nei colloqui della settimana scorsa con la premier italiana, hanno concordato una linea comune anche Francia e Germania: il rischio di un esodo che l’Italia teme possa aggirarsi sui 900 mila arrivi riguarda in particolare Francia e Italia ma il default della Tunisia implicherebbe la fine dei controlli sulle partenze dall’Africa e a quel punto nessuno sarebbe al riparo da un «movimento secondario» di massa.

In cambio, l’Europa si aspetta ovviamente qualcosa. Prima di tutto, tema particolarmente importante per il governo di Roma, la disponibilità di Saied a un accordo sul «rimpatrio» in Tunisia, come paese di transito, degli irregolari arrivati in Italia passando per quel paese. Insomma, un’intesa che sostanzi l’unico risultato ottenuto dal ministro Piantedosi nel vertice dei ministri degli Interni in Lussemburgo.

Per Roma è importante ma nel quadro complessivo della vicenda e del braccio di ferro tra Tunisi e il Fmi si tratta di un particolare. «A Tunisia e Fmi chiedo un approccio il più possibile pragmatico e non ideologico. Mi pare che su questo stiamo facendo passi avanti», ha dichiarato dalla dacia Vespa di Manduria la premier italiana e un notevole ottimismo si avverte anche a Chigi. Qualche elemento tale da autorizzare speranze dovrebbe esserci. Una missione come quella di oggi non avrebbe senso se la posizione di Saied fosse solo quella fatta filtrare dopo l’incontro di martedì scorso con Meloni: un no secco alle richieste del Fondo.

Il prestito del Fmi sul quale si è arenata la trattativa dovrebbe essere di 1,9 miliardi di dollari ma l’intesa sbloccherebbe aiuti complessivi da diverse fonti, in particolare dai paesi del Golfo, per circa 5 miliardi. Cosa chieda in cambio il Fondo è oggetto di dossier segreto ma da quel che trapela si tratta di richieste pesanti sul piano del rigore, oltre che di garanzie sul rispetto dei diritti: ristrutturazione di un centinaio di aziende pubbliche, formula tecnica che si tradurrebbe in migliaia di licenziamenti, interventi drastici su sanità e istruzione, fine dei sussidi su prodotti di base a partire da pane e carburante.

Nessuno si aspetta che Saied molli su tutto ma un segnale sarebbe molto importante anche perché altrimenti Tajani, che la settimana prossima sarà negli Usa proprio per cercare di convincere l’amministrazione Biden e il Fmi ad attenuare le condizioni per il prestito, non avrebbe nulla da offrire.

L’elemento critico è il tempo: ieri Fitch ha abbassato il rating del default della Tunisia passando da CCC+ a CCC-. Fitch si aspetta un accordo con il Fmi entro la fine dell’anno ma ritiene che sia già troppo tardi per evitare il rischio di default. Va da sé che se la situazione restasse incagliata ora il rischio di tracollo della Tunisia si impennerebbe ulteriormente.

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