Dobbiamo soffrire un po’ di caldo in estate, e un po’ di freddo in inverno, negli uffici pubblici e nelle scuole, ci viene detto. È necessario perché solo così, con un po’ di sacrificio, possiamo risparmiare del gas, quel maledetto gas che viene dalla Russia. Questo è il messaggio che ci arriva dai media. Ma è poi vero che di sacrificio si tratta?

VEDIAMO. TENERE LA TEMPERATURA dell’aria a non meno di 25 °C (questa è la temperatura minima consentita) in estate significa semplicemente tenerla al valore di comfort fisiologico con abbigliamento estivo leggero (cioè senza giacca) e svolgendo attività sedentaria, quella che solitamente si fa in ufficio. Lo dice la scienza e lo dicono le norme europee e italiane, quindi ci si chiede semplicemente di attenerci alle norme. Allora, quale è il punto? Il punto è che da qualche anno si è diffuso lo stile di vita americano, che impone il pullover quando si entra in un centro commerciale o anche in molti alberghi e uffici, a causa di temperature ben più basse. Ma che senso ha doversi coprire per il troppo freddo? Di puro spreco si parla, di spreco energetico e di inutili emissioni di CO2.

MA, SI PUO’ OBIETTARE, LE NUOVE REGOLE DANNO una forchetta di due gradi in cui si deve stare: fra 25 e 27 °C. E se si sceglie il valore superiore, che succede? Si è inevitabilmente costretti a sudare e a soffrire? Ebbene no. La temperatura si può benissimo tenere a 27 gradi, se all’impianto di condizionamento si abbinano dei banalissimi ventilatori a soffitto, preferibilmente, o anche a piantana, messi al minimo.

I VENTILATORI A SOFFITTO NEGLI UFFICI sono raccomandati nelle linee guida predisposte dallo Stato delle Hawaii, per esempio, al fine di contenere i consumi energetici. Si sa da lungo tempo che se si muove l’aria ad una velocità bassa, che non infastidisce, la temperatura di comfort aumenta di due gradi. Cioè se si muove l’aria, a 27 °C si ha la stessa percezione di benessere termico che si avrebbe a 25 °C e aria ferma. Quindi per star bene basta che mettiamo il termostato a 27 °C invece che a 25, tenendo i ventilatori in funzione. E sappiamo che per ogni grado in più si risparmia il 10% di energia. Ma non solo: se ho i ventilatori, devo accendere i condizionatori solo quando la temperatura supera i 27 °C, e i ventilatori al minimo consumano pochissimo, quanto una lampadina a Led.

UN RECENTE STUDIO CONDOTTO IN AUSTRALIA e pubblicato sulla prestigiosa rivista di medicina The Lancet, mostra che combinando al condizionamento i ventilatori in tutti gli edifici del paese si avrebbe una riduzione del 76% dei consumi elettrici derivanti dalla climatizzazione degli ambienti. Uno studio simile condotto sull’Italia probabilmente darebbe risultati analoghi. Altro che il 10%. E senza sacrifici.

CERTO, SI PUO’ DIRE CHE SPOSTARE DI UN GRADO il termostato è più facile e immediato che installare dei ventilatori a soffitto o comprare quelli a piantana. Più facile e più economico. Ma quale imprenditore si lascerebbe scoraggiare da un investimento minimo, quale quello dei ventilatori, se sapesse che questo garantisce un maggior comfort, e quindi una migliore resa sul lavoro, oltre che a un risparmio sulla bolletta elettrica?

PECCATO CHE NON LO SAPPIA, COME NON LO SA il comune cittadino, perché ovviamente lo stesso vale a casa. E invece bene avrebbe fatto (è ancora in tempo per farlo) il legislatore a sottolineare, assieme alla misura restrittiva, l’importanza dell’uso dei ventilatori, e magari incentivarli, perché di una misura di risparmio energetico si tratta, a basso costo e di grande efficacia.

E VENIAMO ORA ALLA PARTE INVERNALE del sacrificio: sentire un po’ di freddo. Anche in questo caso si interviene su una cattiva abitudine, quella di vestire leggeri in inverno, tanto da dovere tenere una temperatura di 23 e a volte addirittura 24 °C. La scienza e le norme europee e italiane già citate fissano la temperatura di benessere invernale (quindi con abbigliamento invernale, non in maniche di camicia) intorno ai 21 °C, se si svolge attività sedentaria e con aria ferma, e questa è la temperatura massima consentita dalle nuove regole. La minima è 19 °C ed è una temperatura che garantisce il comfort se nell’ambiente si svolge una attività moderata: spostarsi da un posto all’altro, stare in piedi, muovere qualche attrezzo. È poco confortevole se si passa tutta la giornata dietro una scrivania, a meno che non ci si vesta un po’ più pesante.

DUNQUE POSSIAMO RIDURRE I CONSUMI ELETTRICI, e quindi quelli di gas con cui si fa l’elettricità, e i consumi diretti di metano per il riscaldamento senza per questo soffrire. Si tratta solo di usare le conoscenze che abbiamo, e comportarci di conseguenza, col risultato di risparmiare – si stima – fra 2 e 4 miliardi di metri cubi di gas, pari a circa il 7-14% di tutto il gas importato dalla Russia.

PUO’ SEMBRARE STRANO CHE QUESTO RISULTATO sia stato presentato in associazione a dei sacrifici a cui dovremmo assoggettarci, e che invece sacrifici non sono; ma strano non è. Non lo è perché è coerente con la narrativa corrente che associa l’efficienza energetica alle restrizioni, alle sofferenze, e non a caso: lo spreco, che si vuole evitare, è un elemento fondante del consumismo, su cui si basa la nostra attuale economia e cultura. E guai se cominciamo a non sprecare, crolla il castello su cui si fonda la società dei consumi, che poi è la società del degrado ambientale.

PER ESEMPIO, CHIUDERE L’ACQUA DELLA DOCCIA mentre ci si insapona o installare frangi-getto o riduttori di flusso su rubinetti e doccette, implica una privazione? Certamente no, eppure contribuisce a ridurre i consumi di acqua calda, e quindi di gas. E a chi vende gas, questo non piace.

OPPURE, DATO CHE MEDIAMENTE UN TELEVISORE in stand-by, cioè con la luce rossa accesa, assorbe una potenza di circa 1 Watt e che se moltiplichiamo questo dato per 24 ore, e per il numero di giorni di un anno si ha un consumo perfettamente inutile intorno ai 9 kWh, è un grande sacrificio spegnerlo dall’interruttore invece che dal telecomando? E se poi al televisore aggiungiamo un lettore dvd, un decoder, uno stereo, un modem, un computer, il caricabatteria del telefonino eccetera, la situazione risulta essere ancora peggiore. Allora, è un grande sacrificio riunire tutte le spine degli apparecchi elettronici in una ciabatta multi-presa con un interruttore annesso, in modo da poter spegnere tutti con un unico gesto se non utilizzati e risparmiare qualcosa che è stato stimato intorno al 5% dei consumi elettrici domestici? Altre grandi quantità di gas, quello che alimenta le centrali elettriche, che si risparmiano – oltre al risparmio sulla bolletta.

EVITARE DI COPRIRE IL TERMOSIFONE CON TENDE o altro ostacolo al movimento dell’aria, è un sacrificio? Potremmo andare avanti parecchio su questa linea, estendendola ad altri ambiti, diversi dal riscaldamento e dal condizionamento; ambiti quali l’alimentazione, l’abbigliamento, la mobilità, la digitalizzazione, eccetera. L’elemento comune è l’adeguamento dei comportamenti al fine di eliminare consumi inutili, cioè abbandonare il consumismo ossessivo, come lo definisce Papa Francesco nella Laudato si’, e di abbracciare il modello della sufficienza, come lo chiama Wolfgang Sachs. Un modello di società sobrio, in cui si tende ad avere tutto ciò che veramente serve per garantire la qualità della vita, senza sacrifici per nessuno se si da il giusto valore alle cose. Un modello che è stato anticipato da Enrico Berlinguer ben 45 anni fa quando – nelle Conclusioni al convegno degli intellettuali Roma, Teatro Eliseo, nel gennaio 1977 – introdusse il concetto di austerità: «Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato».

UN MODELLO INELUDIBILE SE SI VUOLE NON SOLTANTO affrontare l’emergenza, speriamo contingente, del gas russo, ma soprattutto quella permanente del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità.