Tra le tante creature mostruose, demoniache, semidivine e fantastiche che animano i luoghi e gli elementi naturali, le architetture e il vivere quotidiano in Giappone, molte sono legate all’acqua.
Un fatto facilmente spiegabile se si considera la conformazione geografica dell’arcipelago, le sue 6.852 isole dalle coste frastagliate e punteggiate di scogli e rocce emergenti, le tante baie, la potenza dell’Oceano circostante, fonte di sussistenza ma anche ciclicamente causa di distruzione, la presenza di cascate e fonti termali nelle zone montuose interne, cosi come di fiumi e canali artificiali in tempi moderni.

IL PECULIARE RAPPORTO del popolo giapponese con la natura e la sua forza incontrollabile è testimoniato da letteratura e pittura sin dai tempi più antichi: dai primi testi sulla mitologia come il Kojiki (Un racconto di antichi eventi) del 712 in cui si narrano le vicende della creazione del paese da parte delle divinità shintoiste, comprese le singole isole e rocce, fino alla pittura su rotoli, paraventi e porte scorrevoli dove il paesaggio è sempre costituito da «acqua e montagne» (sansui) in forma di laghi, ruscelli, cascate, oppure onde marine che si infrangono contro le rocce. In epoca premoderna, tra il Seicento e l’Ottocento, le immagini silografiche policrome dell’ukiyoe diventarono anche testimonianza di paesaggi locali e riconoscibili per la bellezza di cascate, gorghi, laghetti, di vedute marine punteggiate di barchette a vela in lontananza o spiagge dove si potevano raccogliere le conchiglie, per l’attività vivace che si svolgeva sopra e sotto i ponti, lungo i fiumi su barche d’intrattenimento e da trasporto, in grandi città come Edo (Tokyo), Kyoto, Osaka.

Vi è però un filone di pittura che predilige i soggetti leggendari, quelli che venivano tramandati oralmente e che della natura esprimono l’aspetto più spaventoso, misterioso, animistico in forma di fantasmi, demoni, bestie semidivine che l’uomo poteva incontrare in determinate circostanze della vita ricevendone aiuto oppure venendo ingannato o attaccato.
Tra le creature più popolari legate all’acqua si possono citare i kappa, piccoli mostri anfibi noti per aggredire e trascinare in acqua bambini e bestiame, ma anche i tengu, figure con le ali e il becco da uccelli e il corpo umano, solitamente associati alla montagna, che però nel caso dell’episodio dell’imperatore in ritiro Sutoku che chiama gli alleati in aiuto per salvare Tametomo, disegnato dal maestro delle stampe ukiyoe Kuniyoshi, lo circondano mentre è in difficoltà sulla sua barchetta in balia dei flutti sotto forma di grigie entità dell’altro mondo.

UTAGAWA KUNIYOSHI è insuperabile negli effetti grafici con cui ha saputo trattare questo tipo di soggetti fantastici e mostruosi; nelle sue silografie policrome appaiono carpe giganti, balene e coccodrilli affrontati in lotte corpo a corpo, tra onde e in apnea, da eroi storici e leggendari come Miyamoto Musashi, Asahina Yoshihide, Izumo no Imaro, Kaidomaru e Oniwakamaru; ma si vedono anche silhouette di fantasmi demoniaci che si stagliano all’orizzonte dietro onde spaventose che sembrano inghiottire una nave: rappresentano il nemico Taira che attacca l’eroe Yoshitsune.

Tra le leggende popolari di epoca Edo legate al mare ve n’è però uno che più di tutte trova rappresentazione nelle stampe ukiyoe e, in particolare, in due trittici ricchissimi per colori e dettagli che Kuniyoshi dedica a questa storia nel 1853 e nel 1858. Si tratta della storia del Palazzo del Drago e della principessa Tamatori che cerca di scappare dopo aver rubato il gioiello. Ryugujo è il castello del Drago (Ryujin o Ryu) che si trova negli abissi marini, poiché il Drago è considerato la divinità dell’acqua, sempre rappresentato a colori ma più spesso in inchiostro, tra nuvoloni di vapore acqueo mentre dal mare sale verso il cielo. Dietro il grande portale si apre un castello di corallo, oro, cristallo, madreperla con tetti ricurvi come antichi palazzi cinesi; per ognuno dei quattro punti cardinali un giardino rappresenta una stagione.

LA LEGGENDA NARRA anche che il divino Drago possieda dei gioielli magici, chiamati i «gioielli delle maree» con cui egli controlla la bassa (manju) e l’alta marea (kanju). A questi gioielli sono diversi i racconti che si legano riportati nei primi testi giapponesi storici: uno del 1195 circa intitolato Specchio dell’acqua (Mizukagami) incrocia la storia dei gioielli delle maree con un’altra figura leggendaria, quella dell’imperatrice Jingu che arrivata sulla costa coreana prese dell’acqua di mare tra le mani e pregato il Dio Drago e avuti questi gioielli li usò contro la flotta coreana per conquistare la Corea nel 200.
Un’altra storia che fa riferimento ai gioielli è quella della relazione d’amore tra il cacciatore Hoori e la principessa Toyotama, da cui prendono spunto anche le stampe di Kuniyoshi sulla principessa Tamatori. Tama va detto significa «gioiello». Se ne parla sia nel Kojiki sia nel Nihongi (Cronache del Giappone 720 circa) con alcune discrepanze. Hoori, fratello del pescatore Hoderi, si getta in mare alla ricerca di un amo da pesca perduto e qui, nel fondo del mare, incontra la principessa Toyotama, figlia del dio Drago, che sposa. Rimane nel Castello Ryugu per tre anni quando il Drago gli regala l’amo perduto e i gioielli delle maree organizzando per lui e la sposa il rientro sulla terraferma.

SECONDO UNA VERSIONE, i tre gioielli vengono usati per controllare le maree e quindi per sottomettere il fratello Hoderi, e mentre il dio Drago si raccomanda con Hoori di non guardare Toyotama durante il parto, questi disubbidì scoprendo la vera forma della principessa Drago.
Su questa base si sviluppa anche la storia della principessa Tamatori, nonché Ama, pescatrice di perle, che la racconta andare in sposa a Fujiwara no Fuhito, figlio del fondatore del clan aristocratico dei Fujiwara, Fujiwara Kamatari, nel VII secolo. Alla morte di Kamatari, l’imperatore cinese Tang, avendo ricevuto in sposa la figlia di questi, aveva inviato in Giappone come dono commemorativo tre gioielli di cui uno fu rubato dal Dio del mare, il Drago, durante una tempesta. Ecco qui la potenza distruttiva del mare.
Il figlio Fuhito messosi alla ricerca di questo gioiello finì con l’incontrare la pescatrice di perle Tamatori che sposò e da cui ebbe un figlio. Per lui Tamatori accettò di gettarsi nel mare alla ricerca del gioiello perduto. La stampa di Kuniyoshi rappresenta il momento della fuga di Tamatori sorpresa dal Dio Drago: tra cavalloni giganti blu che si rompono in schiuma bianca Tamatori, col busto nudo come usano le ama, impugna il pugnale e tenta di difendersi dalla spirale dello spaventoso Drago verde e rosso che avanza accompagnato da figure marine, mezze pesci o anfibi e mezze umane, che emergono dai flutti: polpi giganti, tartarughe, carpe e granchi, tutti avanzano armati di spade contro Tamatori mentre in lontananza appare come un miraggio la silhouette bluastra del Castello del Drago.

UN DIVERSO TRITTICO di Kuniyoshi, con altrettanta abbondanza di dettagli e vivacità di colori e movimento, rappresenta invece il dono da parte del dio Drago a Tawara Toda, soprannome del nobile comandante Fujiwara no Hidesato, del X secolo, che vinse la battaglia contro un potente Taira rivoltatosi contro l’imperatore e diventando eroe epico. Hidesato, qui rappresentato nelle raffinate vesti di corte a cavalcioni di una tartaruga marina gigante, richiama la versione leggendaria della sua storia secondo cui avrebbe sconfitto un mostro centipede ricevendo in ringraziamento diversi doni dal dio Drago, o Donna Drago, tra cui un enorme sacco di riso da cui deriva il suo soprannome, e una grande campana.
Kuniyoshi lo mostra scortato da schiere di creature marine, assistenti del Dio del Mare, mentre trascinano la grande campana: carpe, pesci di ogni sorta, rane, polpi e calamari, mentre di nuovo sullo sfondo compare il castello-palazzo del Drago. Mare che toglie, mare che dona.

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11 – continua