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Un nuovo premio ad al-Sisi. Alla faccia dei diritti umani

Un nuovo premio ad al-Sisi. Alla faccia dei diritti umanial-Sisi, Presidente dell'Egitto – Ap

Cop27 L’Egitto è stato nominato Stato ospitante, nel 2022, della Conferenza annuale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop27)

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 3 ottobre 2021

Ora è ufficiale: l’Egitto è stato nominato Stato ospitante, nel 2022, della Conferenza annuale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop27). La sua disponibilità il governo del Cairo l’aveva data già all’inizio di quest’anno.

E, in base al principio della rotazione delle sedi, era noto che la sessione del 2022 sarebbe stata ospitata da uno Stato africano. Il presidente al-Sisi, dunque, è pronto ad accrescere il suo peso e il suo prestigio sul piano internazionale e non sorprende che l’annuncio sia stato dato ieri a Milano proprio da John Kerry, l’inviato Usa al prevertice della conferenza che si terrà quest’anno a Glasgow. Naturalmente, alla faccia dei diritti umani. Come noto, in Egitto migliaia di difensori e difensore dei diritti umani, giornalisti, blogger, avvocati, attivisti, dissidenti e ricercatori, tra i quali Patrick Zaki, sono ingiustamente detenuti sulla base di leggi liberticide e spesso in condizioni che mettono a repentaglio la loro salute pisco-fisica.

Un rapporto del 16 settembre di Amnesty International, intitolato significativamente «Tutto questo finirà solo quando sarai morto», descrive l’operato dell’onnipresente Agenzia per la sicurezza nazionale (i servizi segreti civili del Cairo) che ha creato un vero e proprio sistema del terrore che cerca di chiudere la bocca a tutti coloro che si occupano di diritti umani o che criticano le politiche governative. Il braccio giudiziario di questo sistema è la Procura suprema per la sicurezza dello stato, l’organo ufficialmente istituito per trattare i casi di terrorismo ma che dal 2013, anno del colpo di stato di al-Sisi, ha più che triplicato il suo volume di lavoro occupandosi di tutt’altro.

La Procura suprema non solo presiede a processi e a condanne emesse al termine di procedimenti irregolari, spesso basati su prove estorte con la tortura, ma è anche l’architrave del clima d’impunità che circonda il fenomeno dei desaparecidos: i suoi giudici attestano regolarmente che un detenuto è comparso davanti a loro nel rispetto della procedura – entro due giorni dall’arresto – cancellando dunque settimane se non mesi di sparizione forzata.

Sotto la presidenza al-Sisi viene inoltre fatto costantemente ricorso alla detenzione preventiva. Sebbene la legge preveda un periodo massimo di carcere senza processo di due anni, non si contano i casi in cui quel termine è stato prolungato anche fino a quattro o cinque anni, attraverso il sistema delle «porte girevoli»: quando si approssima la fine del periodo di detenzione in attesa di giudizio chi è prossimo alla scarcerazione viene raggiunto da nuove accuse. Le più frequenti: minaccia alla sicurezza nazionale, diffusione di notizie false, sovversione, incitamento a manifestazione illegale e propaganda per il terrorismo.

L’ultimo detenuto in attesa di processo ad aver superato la soglia dei due anni è stato, pochi giorni fa, Alaa Abd el-Fattah, l’iconico leader della rivoluzione del 25 gennaio 2011, finito in carcere sotto tutti i regimi da Mubarak in poi – ora esce in Italia una raccolta dei suoi scritti (“Non siete stati ancora sconfitti”, Hopefulmonster Ed.).

Insomma, se c’era un’occasione in cui la comunità internazionale poteva dimostrarsi preoccupata per le violazioni dei diritti umani e dunque evitare di conferire un «premio reputazionale» al presidente al-Sisi, in questo caso è andata persa. Non meraviglia ma amareggia. Conosciamo bene l’ipocrisia della narrativa per cui occasioni del genere sono utili per esercitare pressioni in favore dei diritti umani. La realtà è purtroppo un’altra: occasioni del genere servono ai regimi per far dimenticare sparizioni, torture, processi politici e condanne a morte.

 

* Portavoce di Amnesty International Italia

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