Un nuovo inizio archivia Sel Sinistra Italiana, l’anti-Renzi
Assemblea nazionale Contro il renzismo e «il populismo delle élite», Nichi Vendola battezza il nuovo partito
Assemblea nazionale Contro il renzismo e «il populismo delle élite», Nichi Vendola battezza il nuovo partito
Nessun clima da de profundis, qualche occhio umido sì, abbracci, ma anche un dibattito politico con botta e risposta, per quanto per poco più di un centinaio di delegati e militanti. Con qualche nota spiazzante, come quando, al termine della mattinata nell’auditorium di via Cernaia, al calare del sipario sulla storia della forza politica chiamata Sel, parte la cover di «Meraviglioso», vecchio successo di Modugno rifatto dai Negramaro, non proprio una canzone di lotta.
Su tutto ha campeggiato il ritorno di Nichi Vendola in una posizione rassicurante più che dominante, o come dice lui «da battitore libero, la posizione che più mi si addice», visto che ha aperto e chiuso i lavori dell’assemblea nazionale con cui si è chiusa l’esperienza di Sel ma solo per proiettarne l’eredità da salvare sulla forza politica ancora nascente: Sinistra italiana, che vedrà il suo primo congresso nazionale a metà febbraio.
PUNGENTE il giusto e onirico altrettanto, Vendola ha parlato per oltre un’ora con la sua oratoria delle grandi occasioni, un discorso preparato in una notte insonne. Impianto classico, è partito dalla situazione internazionale, da Aleppo «bancarotta dell’umanità» per arrivare a spiegare le ragioni dell’esistenza in vita della sinistra orba di una alleanza di centro passando per l’affermazione di Trump e del suo «populismo reazionario delle èlite» che, senza una sinistra riconoscibile e credibile, appunto, riesce, con i suoi addentellati nei partiti razzisti e nazionalisti europei, ad attrarre la rabbia e lo spirito di revanche della «classe operaia bianca marginalizzata» e delle «classi medie impoverite dalla crisi».
Un dibattito che riguarda anche i socialisti francesi, gli spagnoli, i laburisti inglesi. «Se il compito della sinistra è fare da ammorbidente nella lavatrice del liberismo, si vede bene che la parola sinistra non ha più ragion d’essere», è la sentenza.
E SI ARRIVA ALL’ITALIA. Vendola traccia una via stretta, ben oltre la «traversata del deserto» del 2013. Le parole sono calibrate per definire il rapporto con il renzismo, definito, nella vulgata per le telecamere, «il nemico da abbattere» perché dal suo arrivo sulla scena politica è servito a utilizzare la forza della sinistra per applicare l’agenda della destra. Renzi viene definito «un homo novus mentre è molto, molto vecchio nei riferimenti culturali e nel lessico», uno che ancora governa – Gentiloni non viene neanche citato – con gli eletti sulla base di un patto che, ricorda, «porta le firme in calce mia e di Pierluigi Bersani» e invece «ha assunto l’agenda di Silvio Berlusconi». Jobs act, Buona scuola, SbloccaItalia si basano sul capovolgimento di senso. Così come la parola riforma, travisata per affermare il suo contrario.
M5S Mentre il massimalismo giustizialista dei Cinquestelle ha la sua «fine» a Roma, dove proprio delle persone di Mafia capitale si circonda, e Di Battista «passa da Che Guevara allo studio Previti». «C’è una sinistra – avverte – che pensa non si possa fare altro che ritagliarsi una nicchia di testimonianza, accanto o a lato del renzismo. Questa – sintetizza – la chiamo deriva minoritaria. Giuliano Pisapia è un caro amico e agli amici si dice la verità, così quando pensa di rifondare la sinistra come una corrente esterna del Pd renziano, lo fa partendo dalla rimozione di quello che è stato il risultato del referendum». Così come per l’acqua e per le trivelle.
Sul fondo della sala, oltre a Stefano Fassina, c’è Massimiliano Smeriglio che con Pisapia, pur non essendo d’accordo sulla proposta, vuole continuare una interlocuzione. Arturo Scotto, capogruppo alla Camera, nel suo intervento, dice che non si tratta di rattoppare «la meccanica dell’alleanza» ma pur condividendo l’idea di fondo di Vendola – «né un’appendice né la resa» – insiste su «evitare strappi».
Gli risponderà Nicola Fratoianni, coordinatore uscente di Sel, con un passaggio che fa salire al top l’applausometro. Fratoianni difende la scelta di puntare per Sinistra italiana su una forma organizzativa da partito e su quella di privilegiare una legge elettorale proporzionale, non per tornaconto ma per rafforzare la rappresentanza e ricostruire corpi intermedi. «Puntare a prendere i voti in uscita dal Pd nei centri storici, nei quartieri bene , perché tanto i ceti popolari e le periferie non ci votano? E cosa lo facciamo a fare allora il partito?».
LA VITTORIA DEI NO al referendum costituzionale riapre la partita e Sel è stata il lievito di questo risultato, facendo da sponda a Anpi e costituzionalisti, ricorda Loredana De Petris, e ora si tratta di ridare dignità al lavoro con l’impegno per non farsi scippare il referendum contro il Jobs act.
DA VARESE Claudio Mezzanzanica, l’intervento più critico, sostiene che sulle tematiche del lavoro però c’è impreparazione, una impostazione sbagliata e una tendenza autoreferenziale che i documenti congressuali non risolveranno. «Al compagno di Varese – gli risponde Vendola – vorrei dire che sì, dobbiamo disallenarci a seguire il Palazzo e privilegiare di più come palestra il mondo del lavoro». Con una notazione che ha provocato una ovazione iniziale: «Chi pensa che con le unioni civili avrei digerito il Jobs act sbagliava di grosso». Alla fine dà ragione a Federico Martelloni quando dice che il congresso di SI non sarà un approdo. Solo un altro inizio.
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