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«Un messaggio rivolto a chi normalizza i rapporti con Israele»

«Un messaggio rivolto a chi normalizza i rapporti con Israele»Il campo profughi palestinese di Bourj al-Barajneh a Beirut celebra Hamas foto Ap/Bilal Hussein – Ap/Bilal Hussein

Beirut Nel Libano in profonda crisi economica e politica occhi puntati su Hezbollah, che approva ma per ora mantiene un basso profilo

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 8 ottobre 2023

Occhi puntati su Hezbollah, che ha una posizione netta, mantenendo però al momento un profilo basso che non va oltre manifestazioni di supporto in strada. «Eroica e vittoriosa, una risposta decisiva ai crimini dell’occupazione e alle continue aggressioni contro il sacro e la dignità. (…) È un chiaro messaggio al mondo arabo e musulmano, oltre che alla comunità internazionale, soprattutto a coloro che provano a normalizzare le relazioni con il nemico, per dire che la causa palestinese non muore» si legge nel loro comunicato stampa di ieri mattina.

IL RIFERIMENTO è agli accordi di Abramo del 2020 tra Emirati e Bahrain con Israele, oltre alle normalizzazioni dei rapporti con Marocco e Sudan e in generale ai processi di normalizzazione in atto. «La direzione della Resistenza islamica in Libano segue gli sviluppi con grande interesse ed è in contatto diretto con la Resistenza palestinese dentro e fuori dalla Palestina».
Negli ultimi anni si sono intensificati i rapporti tra Hamas e Hezbollah: Ismail Haniyeh, capo di Hamas, ha incontri regolari in Libano con Hassan Nasrallah, leader del Partito di Dio. C’è incertezza e si discute sulla possibilità che Hezbollah prenda o meno parte al conflitto trascinando con sé il paese. Uno scenario che per quanto poco probabile, non si può escludere al momento. L’attenzione sugli sviluppi è quindi molto alta.

SONO ANCORA VIVIDI I RICORDI della guerra del Tammous nel 2006 di 34 giorni, in cui Hezbollah costrinse alla ritirata l’esercito israeliano che aveva invaso il paese. In quell’occasione ci furono circa 1200 morti (in maggioranza civili) tra i libanesi e 160 tra gli israeliani (in maggioranza militari). A sud, dall’altro lato della linea blu di confine presidiata da Unifil, Israele ha intanto annunciato una fortificazione delle linee di difesa.

«La cosa più importante è non implicare i libanesi in qualcosa che non potrebbero sopportare, tenendo conto di tutte le difficoltà alle quali si sono confrontati» scrive su X Samir Geagea, leader cristiano delle Forze libanesi, avversario numero uno degli sciiti, alludendo ovviamente a una partecipazione di Hezbollah al conflitto. Il Libano è tutt’ora in una profonda crisi politica ed economica nata nel 2019 quando le banche hanno congelato i conti mentre la moneta perdeva valore fino a picchi del 200%. In tutto ciò il paese è da un anno senza capo dello stato e da un anno e mezzo con un governo ad interim perché i partiti non riescono a mettersi d’accordo su chi sarà presidente.

LIBANO E ISRAELE hanno trovato da pochissimo un accordo (mediato dagli Usa) sul confine marittimo per cominciare le trivellazoni per l’estrazione di gas.

Mariam M., palestinese nata in Libano, dirige un centro di salute mentale a Saida nei pressi del campo di Ain el Helou. Parla dalla condizione di emergenza continua nei campi: «La gente oggi era felice, è scesa in strada, ci sono stati fuochi d’artificio. Ci è sembrata una specie di riscatto. Sia in Palestina che fuori la condizione dei palestinesi è sempre misera».
Scene simili si sono viste a Mar Elias a Beirut, in un altro campo, così come ovunque nel paese. Dalla Nakba, 1948, i rifugiati registrati in Libano sono circa 450mila divisi in 12 campi profughi e la storia del paese è strettamente legata alla questione palestinese. Basti solo pensare che Beirut è stata sede dell’Olp dalla fine degli anni Sessanta al 1982.

Da un mese Ain el Helou è teatro di scontri tra gruppi vicini ad Hamas e Fatah. Pare che Hezbollah appoggi un rafforzamento di Hamas all’interno dei campi. Ad aprile dal campo di Burj el Shemaileh erano partiti dei razzi katiusha contro Israele, in risposta agli attacchi di al-Aqsa.

LA LEGA ARABA HA AUSPICATO «un immediato fermo delle operazioni militari a Gaza e del ciclo di scontri tra le parti», così come Egitto e Giordania. Il Marocco condanna l’uccisione di civili, da entrambi i lati. Il ministro degli esteri del Kuwait fa appello alla comunità internazionale affinché interrompa le pratiche provocatorie dell’occupazione israeliana e la politica dell’espansione degli insediamenti. Il ministro degli esteri del Qatar ha incolpato unicamente Israele per l’escalation di violenza. Turchia e Arabia Saudita spingono per un cessate il fuoco.

Più netta la posizione dell’Iran, in totale armonia con Hezbollah, che si è congratulato con la Palestina per gli attacchi che hanno «dimostrato come il regime sionista sia più vulnerabile che mai», come ha dichiarato il portavoce del governo Jahromi.

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