La fievolissima, potente voce di Rossana si è spenta. Le ultime volte, a dispetto del Covid, dovevo quasi appoggiare l’orecchio alla sua bocca per sentirla. Queste conversazioni, o bisbigli, mi mancheranno moltissimo. E’ stata un’amicizia tardiva, le più preziose, ma mentre quella con Luciana Castellina è piena di affetto escandescente, quella con Rossana era una brace. Le poche dissonanze non provocavano mai dissidi, ma dispiacere. Anche per lei fu così e mi scrisse una volta per dirmelo a seguito di qualcosa che avevo pubblicato sul manifesto e su cui non era d’accordo.

Una volta le ho detto che non avrei mai potuto essere comunista perché non mi piaceva né obbedire né mentire. E lei pensosa ha risposto: “Io non ho mai obbedito, e non ho mai mentito”. Mi chiesi: “Come ha fatto?”. Il suo splendido libro Una ragazza del secolo scorso lo spiega. Altri hanno disobbedito al Partito e hanno rifiutato la versione ufficiale, ma se ne sono andati, o si sono fatti cacciare. Lei no. Lei è rimasta.

É  rimasta, come spiegò, dopo il ‘56 e dopo il ‘68 e altri momenti che capì come nessuno, perché ‘non c’era altra strada’. Ma non ha mai obbedito e non ha mai mentito. Ha continuato a dire quello che la sua cristallina intelligenza le dettava. Perché non era solo più onesta, era anche più intelligente di tutti gli altri, e la sua intelligenza era di un’ampiezza e una sottigliezza di cui gli altri facevano a meno.

In lei, la passione politica sopraffece la passione estetica e letteraria. Ma restò sempre una grande letterata, in ogni parola politica c’era il fiato, l’alone di quella passione messa a tacere. Le sue parole non erano mai strette in una morsa. Portavano l’eco di altre forme del pensiero.
Così come la sua perfetta rettitudine.

Josè Bergamìn, lo scrittore e combattente spagnolo, diceva che “la rettitudine è sempre morale, mai estetica”. Per lei non era vero. L’eleganza che fu uno dei tratti della sua vita, era un equilibrio magico di rettitudine e intelligenza. Nessuna delle due metteva limiti all’altra, anzi, si nutrivano a vicenda. Aveva un che, molto anzi, di severo (nel mio primo ricordo, a pranzo a casa mia, tremavo quando restavo sola con lei, finché non scoprii che amava i gatti).

Ma in questi ultimi tempi la severità si era consunta, mostrava la stoffa di una tenerezza inaudita. E quella voce fievole era la corda su cui la tenerezza si teneva in equilibrio. Era fatta di quel materiale pregiato che man mano che si assottiglia e si consuma rivela la sua grana, come l’impalpabile filigrana di certe maschere d’oro, che non osi toccare per paura che si dissolvano. E invece dura nei secoli.