«Un giorno di giustizia». In Messico l’aborto non è più un crimine
America latina La Corte suprema, all’unanimità, depenalizza la procedura con effetto retroattivo. Sarà gratuita e legale negli ospedali federali
America latina La Corte suprema, all’unanimità, depenalizza la procedura con effetto retroattivo. Sarà gratuita e legale negli ospedali federali
Nessuna donna dovrà mai più andare in carcere, in tutto il territorio messicano, per aver abortito. A 15 anni dalla depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza a Città del Messico, mercoledì la Corte suprema di giustizia ha dichiarato «incostituzionale il sistema giuridico che penalizza l’aborto nel Codice penale federale, perché viola i diritti delle donne e delle persone in gestazione».
UNA SENTENZA che non solo elimina dal Codice penale il reato di aborto (punito finora con pene da uno a tre anni), ma avrà anche un’applicazione retroattiva, cosicché, come ha spiegato la senatrice Olga Sánchez Cordero, verranno annullati sia i procedimenti in corso che le condanne già pronunciate. E dovrà essere rispettata da «qualsiasi autorità giurisdizionale e amministrativa, in particolare dal personale delle istituzioni sanitarie coinvolte nella pratica dell’interruzione di gravidanza e dagli agenti del pubblico ministero» a cui verranno presentate eventuali denunce.
GIÀ NEL 2021, tra le aspre proteste della chiesa cattolica, la Corte aveva dichiarato incostituzionale la criminalizzazione dell’aborto, con una sentenza che si applicava nell’immediato solo allo stato di Coahuila, alla frontiera con il Texas, ma che, creando un precedente vincolante per tutti i poteri giudiziari statali, avrebbe innescato un lungo e laborioso processo di depenalizzazione dell’aborto stato per stato, in mezzo agli ostacoli posti dai movimenti cattolici conservatori: Aguascalientes, la scorsa settimana, era diventato il dodicesimo stato a depenalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza.
La nuova sentenza, benché non incida sulle leggi locali – l’aborto resterà illegale in 20 dei 32 stati del paese – permetterà ora alle donne, invece, di abortire legalmente e gratuitamente negli ospedali e nelle cliniche federali di tutto il cattolicissimo Messico.
E CON TALE DECISIONE – adottata all’unanimità dagli 11 membri della Corte a tre settimane dalla Giornata di azione globale per l’aborto legale, sicuro e accessibile del 28 settembre – la marea verde ha conquistato un altro pezzo di America Latina, dove, oltre al Messico, l’aborto è legale in Colombia, Argentina, Cuba, Guyana, Guyana francese e Uruguay (ma è ancora totalmente vietato in Nicaragua, Honduras, El Salvador, Repubblica Dominicana, Haiti e Suriname).
Ma si tratta di un segnale forte anche per gli Stati uniti, dove al contrario, a un anno dall’annullamento, il 24 giugno 2022, della storica sentenza Roe vs Wade del 1973 che garantiva l’accesso costituzionale all’interruzione volontaria di gravidanza in tutti i 50 stati dell’Unione, abortire è diventato difficile, se non impossibile, in quasi la metà del paese, con i legislatori conservatori impegnati persino a trovare i modi per bloccare i viaggi per l’aborto da uno stato all’altro. I viaggi però continuano, non solo all’interno degli Usa ma anche in direzione del Canada e del Messico, e anzi si prevede, dopo la sentenza di mercoledì, un forte aumento del numero di nordamericane che, percorrendo al contrario la strada seguita da tanti messicani in cerca di migliori condizioni di vita, oltrepasseranno la frontiera per andare ad abortire negli ospedali e nelle cliniche del paese vicino.
«SONO MOLTO commossa e molto orgogliosa», ha dichiarato Rebeca Ramos, direttrice esecutiva di Gire (Grupo de Información en Reproducción Elegida), l’organizzazione femminista che l’anno scorso aveva presentato il ricorso accolto mercoledì dalla Corte suprema. «È un giorno di vittoria e di giustizia per le donne messicane», ha esultato l’Instituto Nacional de las Mujeres (Inmujeres).
Ma anche se «questa è la maggiore conquista che abbiamo ottenuto in questa lotta», secondo le parole della vicedirettrice di Gire Isabel Fulda, il cammino non finisce qui. Perché, afferma, «c’è una grande distanza tra consentire l’aborto e garantire nella pratica il diritto all’autodeterminazione», soprattutto delle donne a basso reddito, tanto dal punto di vista medico – considerando la fragilità dei servizi sanitari – quanto da quello legislativo e giudiziario (nei 20 stati che non hanno ancora modificato il Codice penale).
UNA SFIDA, questa, di cui prossimamente dovrà con ogni probabilità preoccuparsi proprio una presidente donna. Alle presidenziali del 2 giugno del 2024, infatti, la candidata del partito di governo Morena, la fisica Claudia Sheinbaum – l’ex sindaca di Città del Messico che proprio mercoledì ha battuto gli altri cinque candidati in una serie di sondaggi nazionali organizzati dal partito – troverà come principale rivale un’altra donna: la popolare senatrice Xóchitl Gálvez, per metà indigena e di umili origini, candidata di una coalizione formata dal Partito della Rivoluzione Democratica, dal Partito d’Azione Nazionale e del Partito Rivoluzionario Istituzionale.
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