Un giorno a Pechino tra affinità elettive e ombre interiori
Berlinale In concorso il bel film cinese di Zhang Lu "Shadowless Tower"
Berlinale In concorso il bel film cinese di Zhang Lu "Shadowless Tower"
Con il film cinese Shadowless Tower (alla lettera : la torre senza ombra) di Zhang Lu, la selezione ufficiale della Berlinale fa, come avrebbe detto il presidente Mao, un grande balzo in avanti. Il film si apre in un ristorantino, dove Gu Wengtong (Bai Quing Xin) mangia una zuppa. Poco dopo, entra Ouyang Wenhui (Yao Huang), una ragazza che comincia subito a fare delle foto al cibo, al locale, e a Gu. I due si ritrovano poi in un locale del quartiere degli artisti, il 798. Il film che segue è un lento, preciso e determinato ingresso nella vita di quest’uomo che, all’apparenza, si presenta come la torre del titolo. All’esterno un edificio solitario, rotondo, privo di asperità e di finestre che non lascia intravedere alcunché della vita interiore. Tra quest’uomo di mezza età e la ragazza nasce una storia sentimentale che ha come unico oggetto una serie di affinità elettive che la coppia scopre lentamente di avere.
La Pechino nella quale ci immerge Bai ta Zhi Guang è molto lontana dall’idea comune. È una città al tempo stesso presente e residuale.
QUAL’È IL TEMA? Ce n’è uno poetico – il protagonista è un ex poeta che ha smesso di scrivere e che ora vive di recensioni gastronomiche. È quello dell’ombra. Che cos’è, un’ombra? È un non-oggetto. È più l’assenza di qualcosa che una cosa in sé. E al tempo stesso è la prova che qualcos’altro esiste, è presente, è lì, fa ombra. Se l’ombra è la prova di un’opacità, il fatto di non possederne mette in dubbio che si esista. Gu, con la sua incredibile riservatezza, sembra l’ombra di se stesso, o forse del padre che a sua volta, d’un tratto, è sparito dalla sua vita. Accanto a questo filo poetico, ce n’è uno più storico e materiale. Nel tratteggiare questo personaggio, e nel farlo a suo modo esistere piano piano, il regista costruisce una certa idea di Pechino. Ogni città, con la sua storia politica, culturale, letteraria e sociale, e infine architettonica è in fondo una costruzione. La Pechino nella quale ci immerge Shadowless Tower è molto lontana dall’idea comune. È una città al tempo stesso presente e residuale. Eppure, senza l’ombra di nostalgia. Per il momento, è di gran lunga il miglior film visto a Berlino.
CON IL FILM americano Monodrome, la competizione fa immediatamente alcuni passi indietro, riportandoci nel pantano d’autore in cui ci avevano lasciati ieri Irgendwann… e Blackberry. Jesse Eisenberg si è trasformato fisicamente per adattare il proprio corpo al personaggio di Ralph, un giovane white trash nordamericano che, perso il lavoro in fabbrica, cerca invano di sbarcare il lunario con Uber – en passant, sponsor ufficiale del festival, chiusa parentesi. Lui e la sua giovane compagna vivono un paradosso abbastanza comune della società contemporanea, entrambi non hanno nessuna teleleogia se non il consumo. E, al tempo stesso, non riescono a guadagnare abbastanza per compiere questo atto unico e fondamentale del loro programma ontologico.
Arrivati alla cassa di un mall con 300 dollari di oggetti inutili, scoprono inebetiti che non hanno di che pagare. Dei due, è lui ad uscire per primo fuori di testa. La rivelazione di non aver di che consumare gli fa l’effetto dell’ateismo in Dostoevski: se il dio denaro non esiste, allora tutto diventa possibile. Ecco che il nostro comincia a rubare, a sparare, a farsi sodomizzare da un culturista di colore… Niente ha più senso. E neanche il film di John Trengove si sente tanto bene.
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