Erano le 16 e 21 di ieri, quando il volo Air China con a bordo Ma Ying-jeou è atterrato a Shanghai. È la prima storica volta dal 1949 che un presidente o ex presidente taiwanese mette piede in Repubblica popolare cinese.
Domani, invece, l’attuale presidente taiwanese Tsai Ing-wen si imbarca per New York, primo di due scali negli Stati uniti nell’ambito di una visita in America centrale. Il doppio viaggio segna una congiuntura cruciale per gli equilibri sullo Stretto e testa l’immagine da “grande stabilizzatore” che Xi Jinping vuole dare a livello internazionale. Con sullo sfondo (ma neanche troppo) le decisive presidenziali taiwanesi del gennaio 2024.

«HO ASPETTATO PER 36 ANNI questa occasione di visitare la Cina continentale», ha detto Ma ai giornalisti all’aeroporto di Taoyuan. «Spero che la pace possa arrivare presto a Taiwan», ha aggiunto prima di salire a bordo. Al suo arrivo a Shanghai, un bouquet di fiori ma niente tappeto rosso. Ad accoglierlo tra gli altri Chen Yuanfeng, vicedirettore dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di stato cinese, e Zhang Wei del partito di Shanghai. Un primo segnale che difficilmente il suo viaggio non assumerà una connotazione politica, nonostante venga presentato come personale e culturale.

Con l’ex presidente taiwanese, protagonista nel 2015 dello storico incontro con Xi a Singapore (unico di sempre tra i leader delle due sponde), ci sono una trentina di studenti e alcuni collaboratori. Parlerà con loro e con studenti cinesi in tre università. La delegazione visiterà siti legati alla II Guerra mondiale e al conflitto contro il Giappone, così come luoghi significativi della rivoluzione del 1911 che rovesciò l’imperatore Pu Yi portando alla proclamazione della Repubblica di Cina, ancora nome ufficiale di Taiwan. Ma renderà poi omaggio alle tombe dei suoi antenati, in un itinerario che si snoda in 5 città della Cina centrale. Oggi in programma la visita al mausoleo di Sun Yat-sen, padre del Guomindang, il partito nazionalista cinese, opposizione a Taipei. Quasi certo un colloquio con Song Tao, da poco direttore dell’Ufficio per gli affari di Taiwan. Soprattutto, non è escluso quello con Wang Huning, ideologo del “sogno cinese” e numero tre del Comitato permanente del Partito comunista dopo Xi e il premier Li Qiang.

L’INCONTRO POTREBBE AVVENIRE a Shanghai, dove Ma rientrerà il 5 aprile. Proprio lo stesso giorno, Tsai dovrebbe incontrare Kevin McCarthy in California, nel suo secondo scalo americano di ritorno da Guatemala e Belize (due dei 13 alleati diplomatici rimasti a Taipei dopo la “defezione” dell’Honduras). Wang ha in mano il dossier “teorico” della “riunificazione”. Un suo incontro con Ma consentirebbe a Pechino di provare a mettere in secondo piano quello tra Tsai e lo speaker repubblicano del Congresso Usa, mostrando sul fronte interno ipotetici passi avanti sulla questione Taiwan.

In ogni caso, il viaggio di Ma dovrebbe permettere a Xi di evitare una risposta aggressiva al doppio scalo di Tsai. Pechino sa che mostrando i muscoli prima delle elezioni taiwanesi aiuterebbe il Partito progressista democratico (Dpp), la nemesi che ha scelto come candidato il vicepresidente William Lai, figura molto più radicale della leader uscente Tsai. Nei prossimi giorni, inoltre, Xi riceverà tra gli altri Pedro Sanchez, Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen.

RILANCIARE AMPIE MANOVRE militari sullo Stretto entrerebbe in conflitto con l’immagine da “garante di stabilità” che il leader cinese sta provando a proiettare sul palcoscenico globale. Sul fronte taiwanese si discute soprattutto del viaggio di Ma, mentre nel Gmd è in corso una battaglia sul candidato presidente. Il leader Eric Chu teme che Ma voglia “presentare” a Pechino il suo rivale, l’ex poliziotto Hou Yu-ih.
Intanto, si preparano ad andare negli Usa anche altri due possibili candidati: Ko Wen-je, ex sindaco di Taipei, e Terry Gou, patron del colosso Foxconn.