Cultura

Un campo di sterminio all’ombra della foresta

Un campo di sterminio all’ombra della forestaUna foto di Wolfram Fleischhauer

Intervista «Hansel e Gretel è una delle storie preferite dai tedeschi. Il lieto fine che la contraddistingue nasconde in realtà i contorni di un pogrom prefascista». Parla Wolfram Fleischhauer, autore del noir «Il bosco silenzioso» e ospite della rassegna romana Krimi

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 15 giugno 2018

Uno splendido bosco immerso nella campagna bavarese, non lontano dal villaggio di Flossenbürg, dove sorgeva un lager nazista e dove alla fine della Seconda guerra mondiale i pochi sopravvissuti abbandonati al loro destino dalle SS in fuga furono massacrati dagli abitanti che non volevano restasse alcun testimone del loro coinvolgimento nella macchina di morte nazista. Un tragico segreto, intorno al quale si è definita la comunità locale e che è stato protetto ad ogni costo fino ad oggi. Il bosco silenzioso di Wolfram Fleischhauer (Emons, pp. 330, euro 15) non è solo un noir cupo, inquietante che immerge il lettore in un clima di ambiguità e mistero, ma rappresenta anche un esplicito atto d’accusa verso i tanti vuoti di memoria della storia tedesca contemporanea: un’indagine sconvolgente sul «nazismo della porta accanto».

Anja, la giovane protagonista del romanzo cerca di scoprire cosa si cela nel bosco vicino all’ex lager di Flossenbürg. Sta indagando sui fantasmi nascosti dietro il volto della Germania di oggi?

Il bosco è senza dubbio una potente metafora dell’anima tedesca in quanto tale e del suo desiderio di cercare la salvezza nella natura: si tratta evidentemente di un topos della nostra cultura. Perciò, Anja si muove nella foresta, ma in realtà è la storia del paese che sta attraversando. Indaga su un trauma personale, in quei luoghi è stato ucciso anche suo padre, ma si misura con il trauma collettivo di una nazione e di un popolo che si pensano civili ma che hanno prodotto Hitler e l’Olocausto. Del resto, il romanzo ha preso corpo proprio a partire dall’evidente discrepanza tra la bellezza e l’apparente innocenza di questo paesaggio e la tragedia che in questi stessi luoghi si è compiuta.

Dal libro emerge come il lager di Flossenbürg fosse «integrato» nella vita della zona. Perciò, come dire ancora «non sapevamo»?

Prima di raccogliere la documentazione necessaria al romanzo, non conoscevo la storia del lager. Quando l’ho visitato, ho fatto il giro della zona più volte perché non riuscivo a credere ai miei occhi. Il lager non era solo attiguo al villaggio, ne era per certi versi il centro. C’è un disegno fatto all’epoca da un ragazzino di otto anni che era in vacanza da queste parti che illustra molto bene come l’orrore fosse un tutt’uno con la vita quotidiana. Lui ha semplicemente disegnato ciò che vedeva da lontano, il villaggio in prospettiva: il campanile della chiesa, la caserma, il filo spinato, il piazzale delle esecuzioni e il forno crematorio.

Il curatore del museo di Flossenbürg spiega ad Anja come sia gli abitanti del luogo che un buon numero di tedeschi si siano ispirati al «metodo Hansel e Gretel», vale a dire «il raccontare la storia ma alterandola al punto da renderla innocua». Cosa significa?

Credo che la Germania si sia impegnata a fondo per capire come sia potuta sprofondare nella barbarie più assoluta. Allo stesso tempo è emersa anche un’altra tendenza a voler invece occultare il passato. Ed è questo secondo aspetto che volevo analizzare. Così, la lettura della celebre favola proposta negli anni Settanta dallo studioso marxista Iring Fetcher mi sembrava la più adatta per descrivere la situazione: non abbiamo prove che la vecchia signora fosse una strega o che volesse davvero mangiare i bambini, ma è probabile che loro lo abbiano pensato perché nutriti dei pregiudizi nei confronti dei «diversi». Del resto, il risentimento verso i gruppi marginali della società è sempre vivo. Sta di fatto che uccidono la vecchia e ne saccheggiano la casa e grazie a ciò che rubano salvano la famiglia dalla fame, venendo accolti con tutti gli onori. Perciò, il lieto fine di quella che è una delle storie preferite dai tedeschi nasconde in realtà i contorni di un «pogrom prefascista».

L’evocazione del fantastico e di un certo romanticismo della natura attraversa le pagine del libro e sembra rimandare ai miti della cultura pre-nazista su cui prese vita il Terzo Reich. È così?

La genesi del nazisno è intrecciata con una certa visione romantica e con un nucleo di pensiero esoterico. Oltre che ne Il bosco silenzioso mi sono occupato di questi aspetti anche in un altro romanzo La scuola delle bugie, ancora inedito in Italia, che si occupa proprio dell rapporto tra l’esoterismo e l’ideologia nazionalsocialista. All’epoca, l’Europa visse una grave «crisi di senso» e i fascisti un po’ ovunque proposero una sorta di cocktail esplosivo di politica e religione, un movimento di redenzione attraverso la morte non dissimile da ciò che troviamo oggi nell’islamismo radicale. Quanto al rapporto romantico con la natura, credo che esprima quella sorta di schizofrenia che ha dominato a lungo la cultura e la società tedesche. Siamo un popolo di ingegneri e tecnici che anelano ad una vita semplice nella foresta. Ma la regressione allo stato naturale rischia di ricondurre anche ad uno stadio selvaggio, irrazionale, alla barbarie. Forse la chiave per capire la catastrofe del nazismo si trova lì.

I suoi romanzi utilizzano i canoni del noir per descrivere determinate fasi storiche. In questo caso sembra voler guidare il lettore verso una sorta di consapevolezza.

Scrivo dei «noir culturali», dei romanzi di suspense che evitano i cliché del genere per parlare di altre cose come l’arte, la filosofia, la religione, la storia, la memoria. A indicarmi la via sono stati libri importanti. Penso a Il nome della rosa di Umberto Eco, considerato in un certo qual modo come un giallo anche se parla della Poetica di Aristotele. E anche Il giro di vite di Henry James, che è in realtà molto più che una storia di fantasmi ma è così che viene ricordato. Del resto, la stessa storia umana e le contraddizioni in cui siamo tutti immersi rappresentano qualcosa su cui indagare alla maniera del giallo.

 

Gli incontri romani della «nuova onda gialla» tedesca

Giunto alla sua seconda edizione, il festival Krimi, in programma oggi, dalle 18 alle 23 presso i giardini del Goethe Institut di Roma (Via Savoia 15) propone incontri con quattro autori della «Neue Welle» del noir e del giallo tedesco. Oltre a Wolfram Fleischhauer ci saranno Harald Gilbers, entrambi dialogheranno alle 18 con Giancarlo De Cataldo, e due delle maggiori interpreti del noir di genere, Brigitte Glaser  e Andrea Nagele che alle 19,30 saranno intervistate da Angiola Codacci Pisanelli. Alle 21 si potrà invece assistere alla proiezione del film Phoenix (Il segreto del suo volto), diretto da Christian Petzold che indaga il tragico passato tedesco.

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