Un attacco ipersonico ai servizi ucraini
Crisi Ucraina Due missili zircon su Kiev. «L'obiettivo era l'Sbu» nel giorno della sua festa
Crisi Ucraina Due missili zircon su Kiev. «L'obiettivo era l'Sbu» nel giorno della sua festa
Terrore che chiama altro terrore. Quasi non ci fosse soluzione di continuità, in questi ultimi giorni spari, morti ed esplosioni hanno fluttuato dal terribile attentato di Mosca alle numerose città ucraine colpite dal Cremlino, passando per attacchi nella penisola di Crimea e nelle aree di confine di Belgorod e Rostov-sul-Don.
KIEV ACCUSA: la scorsa settimana la Russia ha lanciato contro l’Ucraina circa 190 missili, 140 droni e 700 bombe aree. Ieri mattina verso le 10.30 i detriti di due missili ipersonici Zircon si sono abbattuti proprio sulla capitale, provocando nove feriti e danneggiando l’Accademia statale di arti decorative e applicate oltre a diversi edifici residenziali e non, soprattutto nel distretto di Pecherskiy (è il terzo attacco su Kiev negli ultimi cinque giorni). Il Kyiv Post, citando una proprie fonte interna, ha scritto che l’attacco era diretto a una struttura dell’Sbu (i servizi di sicurezza ucraini), di cui peraltro si celebrava la giornata nazionale.
Ma a preoccupare è anche il tipo di arma utilizzata da Mosca: lo Zircon è infatti un missile di moderna concezione, impiegato nella guerra in Ucraina sembrerebbe solo un’altra volta prima di ieri. A febbraio dell’anno scorso Putin aveva annunciato l’avvio di una «fornitura massiccia» di tali armamenti e un mese e mezzo fa l’intelligence britannica segnalava la loro comparsa nel teatro bellico. «Una significativa sfida alla contraerea ucraina a causa della sua velocità e manovrabilità», lo descrivevano gli 007 di Londra.
IN EFFETTI IL MISSILE – con tutta probabilità sparato dalla Crimea – pesa circa quattro tonnellate e riesce a viaggiare a una velocità di oltre sette volte superiore a quella del suono, potendo così raggiungere Kiev in 5-6 minuti e lasciando una brevissima frazione di tempo fra l’attivazione delle sirene d’allarme e l’impatto (circa 10 secondi).
Contando dunque anche su questo nuovo “supporto”, il Cremlino ha proseguito e per quanto possibile intensificato la sua strategia di danneggiamento delle infrastrutture energetiche del paese aggredito. L’azienda Ukrenergo ha annunciato che in conseguenza degli attacchi un totale di 401 località hanno sofferto di interruzioni di corrente elettrica in diverse regioni (restrizioni pesanti saranno messe in atto in particolare a Karkhiv), la compagnia petrolifera e del gas Naftogaz ha confermato che sono state colpite alcune sue strutture lontane dal fronte a ovest, mentre la statale dell’idroelettrico ha dichiarato che ci vorranno anni per riparare la centrale sul Dnepr di Zaporizhzhia bersagliata quattro giorni fa.
Altri bombardamenti si sono verificati nella giornata di ieri su Odessa e vicino a Kherson. Non stupisce che nel suo commento agli accadimenti il ministro degli esteri Dmytro Kuleba abbia ripetuto la necessità da parte ucraina di ricevere più difesa area, in particolare il sistema Patriot. Dal canto suo, soprattutto attraverso i droni e nonostante gli apparenti malumori degli alleati Usa, Kiev sta continuando una speculare campagna di danneggiamento di diverse raffinerie di petrolio in territorio russo: ieri è stata annunciato il blocco di un’unità nella città di Samara, che ha ridotto del 50% la produttività della centrale.
INTANTO, LA «BATTAGLIA NEI CIELI» è arrivata a impensierire anche la Polonia: ieri l’ambasciatore russo Sergey Andreev ha deciso di non presentarsi alla convocazione richiesta dalle autorità di Varsavia affinché ci fossero chiarimenti sul missile che ha violato per 39 secondi lo spazio aereo nella notte fra sabato e domenica.
In ogni caso, la guerra in Ucraina è sempre più una questione europea anche a livello formale: ieri è stato firmato un memorandum fra Kiev e la Danimarca per la cooperazione nel campo del rifornimento d’armi per la difesa, mentre è avvenuta una telefonata fra Zelensky e il primo ministro spagnolo Sánchez affinché si arrivi il prima possibile a un accordo di sicurezza bilaterale.
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