L’edizione 2023 del Rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, è la decima dedicata a questi temi. Michele Munafò, Responsabile del Servizio per il sistema informativo nazionale ambientale dell’Ispra, ne è il curatore. «È difficile fare un bilancio dell’impatto del nostro lavoro – spiega a l’Extraterrestre – ma credo che rispetto a dieci anni fa siano cambiate la consapevolezza e la riconoscibilità del problema, tanto a livello politico quanto nell’opinione pubblica».

I dati relativi al 2022, però, dimostrano che questa consapevolezza non è ancora sufficiente a invertire la rotta.

Oggi abbiamo a disposizione i dati, dati che vengono tenuti in considerazione, almeno in termini di politiche di governo del territorio. Questo ci rende orgogliosi rispetto all’utilità del nostro lavoro. Il riconoscimento dell’impatto collegato al consumo di suolo, purtroppo, non si è ancora tradotto in una legge nazionale, da cui potrebbero discendere azioni di contrasto più concrete, a livello nazionale e a livello regionale. Manca, quindi, la possibilità di rivedere le scelte urbanistiche. Questo ritardo è vero anche a livello di opinione pubblica, perché ancora oggi il tema non è al centro dell’agenda, come altri temi ambientali. Un problema è che anche il singolo cittadino sarebbe chiamato ad azioni di rinuncia, ad esempio in termini di aumento della rendita del proprietario di un determinato terreno o di incidere con le proprie scelte di acquisto di terreni sulle modifiche degli strumenti urbanistici. Purtroppo la strada fa da fare è ancora tanta, ma è importante annotare che oggi finalmente possiamo riconoscere dove si costruisce di più e dove di meno, come ci si comporta vicino alla costa o nelle aree a pericolosità di frana. Dieci anni fa non c’era alcuna consapevolezza».

Per la prima volta, con l’edizione 2023 del Rapporto mettete a disposizione anche un «Atlante nazionale del consumo di suolo». Che obiettivi ha questa nuova pubblicazione?

Penso che le cose vadano viste e la rappresentazione cartografica è la che più efficace per descrivere fenomeni complessi, che i numeri a volte possono rendere un po’ astratti. Vedere com’è cambiato il territorio negli ultimi 16 anni e nell’ultimo anno, rende evidente il consumo di suolo. L’ambizione è che chi lo consulterà potrà riconoscere l’area in cui vive, e vedere com’è cambiato intorno a sé nel corso degli anni, al di là dell’esperienza diretta delle trasformazioni che ognuno di noi ha vissuto a partire dal 2006. La visione d’insieme, poi, aiuterà a capire come questa serie di puntini rossi sia presente un po’in tutta Italia. L’Atlante contribuirà ad aumentare la consapevolezza, usando uno strumento tradizionale, a cui tutti siamo abituati fin dalle scuole primarie.

Consapevolezza che però non frena il consumo di suolo. Cosa caratterizza l’ultimo anno?

La crescita è prepotente, dato che passa dai 70 ai 77 chilometri quadrati lordi, un 10% in più. Rispetto all’anno scorso, la crescita delle coperture legate a nuovi edifici è rimasta stabile, mentre ad essere esplosi sono i cantieri, in molti casi legati alle infrastrutture, a nuove grandi opere che sono ripartite.

Uno dei paragrafi del rapporto è dedicato al fotovoltaico a terra: anche in questo caso si tratta di vero consumo di suolo?

La Commissione europea riconosce negli impianti a terra una causa di consumo di suolo. Nell’ultimo anno i dati che abbiamo rilevato indicano nuovi impianti per 500 ettari, la metà dei quali poi rientrano anche nella classificazione oggetto del rapporto. Per noi è importante sottolineare questi aspetti perché gli obiettivi di transizione energetica ed ecologica, entrambi necessari, non possono essere in contrapposizione. Per questo, occorre attenzione, visto che i nuovi impianti sono ancora pochi rispetto a quelli attesi da qui al 2030, almeno secondo gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC). È positivo che ci siano tante installazioni sui tetti di strutture esistenti, sono il 66% del totale, ma rischiamo di avere 350 km 2 di nuovi impianti a terra nei prossimi sette anni. È ovvio che non si può paragonare questo consumo di suolo a quello legato agli edifici, in termini di effetti sui servizi ecosistemici, sulle funzioni del suolo, sulla irreversibilità, i pannelli sono meno impattanti, ma gli effetti negativi ci sono comunque e agire sfruttando il potenziale di tetti esistenti potrebbe conciliarsi bene anche con obiettivi di riqualificazione del patrimonio esistente. Teoricamente, ci sono superfici in grado di ospitare pannelli per una potenza installata tra i 70 e i 92GW, la una quantità di impianti per energia rinnovabile superiore a quella prevista dal PNIEC.