La Francia, dove la candidata del Rassemblement national, che da cinquant’anni ha fatto dell’immigrazione la sua bandiera, ha superato il 40% alle ultime presidenziali e dove l’estrema destra alimenta la paura della “grande sostituzione” di popolazione, si prepara a discutere la ventiduesima legge sull’asilo e immigrazione in 37 anni. Il testo di legge dovrebbe essere presentato dal governo in Parlamento il prossimo gennaio. In questo mese sono previsti incontri con le ong, che già denunciano una politica di immigrazione «ridotta a una dimensione strettamente securitaria»: ieri, 26 organizzazioni, da Amnesty International a Oxfam e Médecins du Monde, hanno inviato una lettera alla prima ministra, Elisabeth Borne, per opporsi a rischi di «stigmatizzazione» degli immigrati, assimilati alla delinquenza, dopo le dichiarazioni del ministro degli Interni, Gérald Darmanin, che ha sottolineato che in Francia c’è il 7% di popolazione straniera che compie il 19% dei reati, percentuale che salirebbe al 50% a Parigi e nelle grandi città. Il ministro ha affermato che la disoccupazione degli stranieri è quasi il doppio della media francese: 13% contro 7,5%.

Anche la nuova legge, come tutte le precedenti, partirà dalla promessa di equilibrio tra “umanità” e “fermezza”. Sul lato “umanità” è intervenuto il ministro del Lavoro, Olivier Dussopt (ex socialista), che, su specifica richiesta del padronato, intende favorire le regolarizzazioni e i permessi di soggiorno per i lavoratori dei “mestieri in tensione” (ristoranti, alberghi, edilizia, trasporti), 400mila posti di lavoro che non trovano manodopera. È la teoria dell’”immigrazione scelta”, Darmanin afferma: «Non siamo ipocriti, abbiamo bisogno di immigrati». Mentre Marine Le Pen già denuncia «un piano di regolarizzazione massiccia» in vista, anche se la struttura delle entrate è al 50% per ricongiungimenti famigliari e solo al 10% per motivi di lavoro (inoltre c’è lo jus soli per i figli di stranieri nati in Francia).

In alcuni settori la presenza di stranieri è diventata indispensabile: per esempio, nella regione parigina ci sono più medici originari del Benin di quanti ce ne siano in questo paese dell’Africa occidentale. Quest’estate, la Francia ha reclutato dei lavoratori temporanei in Tunisia nel campo della ristorazione. Per rispondere alle ong, che insistono sulle «altre dimensioni» da evocare – casa, salute, scuola, formazione – Darmanin promette un aumento del 24% del budget per l’integrazione.

Sul lato “fermezza”, un tragico fatto di cronaca – l’assassinio con atti di tortura di una bambina da parte di una algerina sans papiers che non ha rispettato l’obbligo di lasciare il territorio francese – sta contribuendo in questi giorni a aumentare l’irrazionalità con cui da quasi 40 anni viene affrontata la questione dell’immigrazione. Darmanin promette mano di ferro nell’applicazione delle espulsioni decise dalla giustizia, nel 2021 sono state 122mila (17mila realizzate). Saranno limitate le possibilità di ricorso in giustizia dopo un decreto di espulsione, dalle 12 categorie attuali a solo 4, anche se non verrà reintrodotto il “reato di soggiorno irregolare”. Darmanin vuole schedare le persone oggetto di espulsione, che non avranno così più diritto al Rsa (reddito di cittadinanza), agli assegni per la casa, alla sanità, con l’intenzione di «rendere impossibile» la vita dei clandestini: «Saremo cattivi con i cattivi, gentili con i gentili».

Il dibattito all’Assemblée nationale sulle navi ostaggio al largo dell’Italia è stato violento: un deputato del Rassemblement national è stato sospeso per 15 giorni dopo aver urlato «che ritorni(no) in Africa» (in francese non si sente la differenza tra terza persona singolare e plurale), contro un collega della France Insoumise, nero, che parlava degli sbarchi.