Ultima guerra del mondo di ieri
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Ultima guerra del mondo di ieri

Mariupol, un’icona della Madonna vicino a un elmetto a un checkpoint f – Alexei Alexandrov/Ap

Effetto Ucraina Parla l’editore e giornalista Vijay Prashad. «I russi hanno costruito un ponte di terra tra Donetsk e la Crimea a cui non rinunceranno»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 maggio 2022
Vijay Prashad

Vijay Prashad è uno storico, editore e giornalista indiano. È caporedattore di LeftWord Books e dirige Tricontinental: Institute for Social Research. È ricercatore senior presso il Chongyang Institute for Financial Studies, Renmin University of China.

Ha scritto oltre venti libri, tra cui The Darker Nations e The Poorer Nations. Il suo ultimo libro è Proiettili a stelle e strisce. Il libro nero dell’imperialismo americano, con una prefazione di Evo Morales Ayma, edito da Red Star Press.

Professore, cominciamo con qualcosa che gli storici odiano fare, le previsioni. Cosa vede succedere ora in Ucraina?

Non vedo lo spazio per negoziati adeguati, ma i russi avranno varie questioni sul tavolo. Vorranno che l’annessione della Crimea sia vista completamente come un fait accompli. Hanno costruito un ponte di terra tra Donetsk e la Crimea a cui non rinunceranno, inclusa Mariupol. Ecco perché i combattimenti sono così intensi e non hanno nulla a che fare con i nazisti.

La vera ragione è l’acqua. L’Ucraina aveva bloccato l’approvvigionamento idrico alla Crimea dopo il 2014. L’antidoto è questo ponte di terra. Penso che sarà difficile espellere le forze russe da quella regione. C’è poi la cosiddetta denazificazione. Non sono sicuro che i russi siano davvero impegnati in questo e non penso che stiano cercando di creare un governo fantoccio a Kiev.

Come giudica i doppi standard nell’estenuante, voyeuristica narrazione di questa guerra quando le altre ricevano solo dei cenni frettolosi?

Ne aveva scritto Noam Chomsky già 30 anni fa: ci sono vittime degne e vittime indegne. La narrativa di Biden e Johnson è in piena modalità Churchill: combattono per procura la Battaglia d’Inghilterra. Gli Stati uniti usano questa narrativa per nascondere il proprio scopo reale, come ha detto il segretario alla difesa americano Lloyd Austin: indebolire la Russia.

L’obiettivo strategico del suo ripartimento è impedire alla Russia e alla Cina di diventare Near-Peer (quasi pari, ndr). Sono in molti a intenderlo non solo come un conflitto tra Ucraina e Russia, ma tra un’integrazione eurasiatica e la fantasia anglo-americana di dominio permanente.

Ha senso vederla come l’ultima guerra del “primo” mondo?

Sì, potrebbe essere l’ultima guerra di un’era precedente. Lloyd Austin ha detto che il gioco è quello di indebolire la Russia, è un’affermazione piuttosto forte. A Varsavia, Joe Biden ha detto che Putin deve cadere, con la disinvoltura con cui parlano i leader americani. Affermazioni forti ma ufficiali, davanti alle telecamere.

È alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007 – un anno significativo perché c’era stata la crisi finanziaria – che Putin inizia a rendersi conto che l’integrazione della Russia nell’Occidente semplicemente non era in programma. Va a Monaco e fa una dichiarazione davvero forte: è finita l’era in cui un paese dice cosa fare agli altri. Senza mai menzionarli, ma tutti sapevano che stava parlando degli Stati uniti. È quella la rottura tra Putin e l’Occidente: dal 1999, quando è diventato presidente, al 2007 ne era stato il beniamino.

A Monaco tutto questo finisce. Intanto succedono molte cose importanti. Non gli eventi di Maidan nel 2014, o Donetsk e Lugansk. Questo genere di cose era già successo: i russi avevano goduto di un’enorme libertà colpendo la Cecenia due volte e l’Occidente aveva lasciato correre.

Due cose sono cambiate. Uno è il documento strategico del 2018 che parlava sostanzialmente del passaggio della politica strategica statunitense dalla war on terror allo schiacciamento di Russia e Cina. Poi, l’anno successivo, il governo degli Usa si ritira unilateralmente dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (Intermediate Nuclear Force Treaty). Nel frattempo, dal 2004 oltre dieci paesi dell’Europa orientale si erano uniti alla Nato, inclusi due degli stati baltici che confinano con la Russia. Nel 2004 la Russia non si era lamentata perché l’infrastruttura di controllo degli armamenti era ancora al suo posto. Ma nel 2018, il ritiro unilaterale da parte degli Stati uniti del Trattato sulla forza nucleare intermedia equivale annunciare a Mosca che l’Occidente valuta la dislocazione di armi nucleari ai suoi confini.

Apocalisse è un termine abusato. Un senso di finitezza attraversa l’Occidente, la vera fine della storia. Saprà l’umanità affrontare catastrofi incredibili e la necessità di trascendere confini, identità, religioni per il solo scopo di sopravvivere?

Stiamo vivendo una situazione molto difficile in cui oltre metà della popolazione mondiale è già presa dalla necessità di sopravvivere. Secondo la Food and Agriculture Organization, quasi tre miliardi di persone lottano con la fame. Se si aggiungono l’inflazione, la pandemia e tutto il resto, si arriva forse a 5 milioni di persone nella morsa del quotidiano, senza il tempo per pensare all’apocalisse. Perché si tratta di eventi a medio-lungo termine, mentre tu vivi ora per ora per nutrire te stesso o i tuoi figli.

C’è una volgarità che fa passare la guerra come un fatto normale. L’International Peace Research Institute ( SIPRI ) di Stoccolma ha appena annunciato che per la prima volta nella storia la spesa militare globale ha superato i 2000 miliardi di dollari. Il Fondo per l’adattamento al clima è di 100 miliardi all’anno. Da una parte ci sono quelli che urlano e strepitano per la guerra in Ucraina, sacrificando gli ucraini alle loro ossessioni militari; dall’altra una spesa minima per sradicare la fame. Quasi nulla per la transizione climatica.

L’occidente liberale è atterrito dal populismo di destra e di sinistra, ma ora Putin gli ha fatto un regalo: può inquadrare lo scontro tra democrazia e autoritarismo anziché fra imperialismi concorrenti. Stesso discorso vale per la Cina, dove un partito comunista autoritario tiene in piedi il capitalismo globale…

Il populismo è sopravvalutato, questa guerra sta rafforzando una narrativa molto più antica e subdola, quella delle società libere e non libere che risale alla Società aperta di Popper. Che era una sciocchezza allora e lo rimane oggi. Prendiamo la Cina, un paese governato da un unico partito, che però ha novanta milioni di membri: più della popolazione della Germania. E dentro questo partito ci sono posizioni politiche quasi diametralmente opposte. Ci sono persone completamente pro-Usa, (si definiscono jeffersoniani!), e poi ci sono, si sa, i maoisti nostalgici.

In Cina esistono varie forme di azione pubblica. I tassi di sciopero erano alti già prima della pandemia. Non ci si rende conto che Pechino non gestisce tutto, che la Cina è un paese piuttosto decentralizzato. Quindi in realtà non è esattamente evidente che sia una società non libera. Bisogna essere empirici al riguardo. Il nonsenso di Popper è la fine dell’analisi. Allo stesso modo, il Regno Unito è davvero una società libera? Quello che è stato fatto a Jeremy Corbyn è ridicolo. Ha passato tutta la vita a lottare contro il razzismo ed è stato accusato di essere antisemita.

L’eterno ritorno dell’idea di nazione: a sinistra una costante necessità di identificare la lotta con qualcosa di “tuo”. Ma anche, da sempre, l’ingrediente principale del fascismo. Come se ne esce?

Nessuno appartiene al pianeta, o all’umanità. Concetti su scala troppo vasta. Forse apparterremo al pianeta quando avremo scambi interplanetari. Non c’è alcun senso di appartenenza in questo momento che sia più grande di quello continentale. Prendiamo l’Europa. Le persone sono arrivate a considerarsi europee. È un risultato straordinario. In 50-60 anni è stata plasmata l’idea dell’Europa continentale. Hugo Chávez ha cercato di farlo in America Latina con il bolivarismo, anche se non ci è riuscito.

Il problema non è il nazionalismo, ma la politica sottostante. Petro Poroshenko è stato un disastro per l’Ucraina perché ha spinto un angusto nazionalismo ucraino. Nel 2014, dopo Maidan, un vero statista avrebbe dovuto impegnarsi in un’identità ucraina plurinazionale. Includere i bulgari, i russi, gli ucraini, includere i Rom. Per esempio, l’Italia è ben posizionata per iniziare a parlare di un’identità mediterranea, di un Mediterraneo occidentale. Eppure non sembra essersi preoccupata tanto di come la Banca centrale europea ha trattato la Grecia, o i “Pigs”.

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