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Ucraina, Zelensky licenzia Zaluzhny. Al suo posto il fedele Syrsky

Ucraina, Zelensky licenzia Zaluzhny. Al suo posto il fedele SyrskyValerii Zaluzhny – Ap

Il limite ignoto Il capo di stato maggiore era l'antagonista più pericoloso del presidente. Contrario alla carneficina di Bakhmut. Forse ora inizierà la sua carriera politica

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 9 febbraio 2024

Tutto come da copione, con tanto di ultima scena dal finale aperto. Zaluzhny è stato licenziato, Zelensky l’ha cacciato liberandosi finalmente del suo antagonista più pericoloso. Il popolarissimo capo di stato maggiore che ha dato il suo volto e la sua mente alla Difesa dell’Ucraina ieri è stato scaricato. Al suo posto Syrsky, l’attuale capo delle forze di terra, criticato aspramente per la sconfitta di Bakhmut, poco amato dai soldati al fronte per le sue «fissazioni tattiche» che in diversi frangenti hanno inviato interi battaglioni a morire per conquistare pochi metri o una posizione non fondamentale.

E INTANTO al fronte la confusione e lo scoramento regnano sovrani. Due anni di vita sospesa a difendere un Paese che poi mette alla porta uno dei suoi uomini più validi solo per una bega di potere? C’è chi è pronto a giurare che il presidente Zelensky alla lunga sconterà le ripercussioni di questa decisione.

Zaluzhny è un eroe di guerra troppo scomodo perché possiede una sola delle caratteristiche del buon soldato, quella sbagliata in questa fase della guerra. È un combattente valoroso ed è completamente devoto all’esercito ma non obbedisce tacendo. Anzi, parla e, secondo Zelensky, troppo. La prima volta è stata durante l’assedio di Bakhmut: Zaluzhny sosteneva la necessità di ritirarsi e mettere in salvo più soldati possibile in modo da poterli riutilizzare in seguito. Zelensky fu categorico: fino all’ultimo uomo. In questa decisione il presidente fu spalleggiato da Syrsky che sul campo eseguì pedissequamente la volontà del leader, provocando non poco scontento tra i soldati ucraini in quell’area convinti di essere ormai diventati le vittime sacrificali di una nuova Mariupol. Ma è stato l’articolo dello scorso ottobre pubblicato sull’Economist a far precipitare la situazione. In quella lunga analisi il generale dichiarava, prima di chiunque altro, che la controffensiva «non era andata come previsto» e che al fronte si era ormai allo stallo. Poi è stata la volta delle critiche contro il governo per aver smantellato il sistema dei centri di reclutamento e aver reso «impossibile lavorare».

ZALUZHNY è stato il primo, e finora unico, uomo di potere in Ucraina che abbia apertamente criticato Zelensky dall’inizio della guerra. Il che non rappresenta un merito in sé, ma lo diventa se riguarda la vita di migliaia di persone. Non spetta a noi assegnare meriti e demeriti ma è un fatto che un gruppo capace ha possibilità di vittoria maggiori di un singolo che si circonda di fedelissimi.

È questo il pericolo principale: dopo due anni di guerra, con la legge marziale in vigore (e appena prorogata), la guerra che non accenna a finire e gli alleati occidentali che potrebbero defilarsi Zelensky rischia di diventare un dittatore. Cerchiamo di fuggire la banalità della critica fine a sé stessa. È indubbio che il peso del quale il presidente ucraino si è fatto carico dal 24 febbraio del 2022 è enorme. È altrettanto evidente che sul piano diplomatico e comunicativo è riuscito a ottenere dei successi impensabili. Zelensky si è fatto simbolo della nazione ed è stato uno dei pilastri che della resistenza ucraina. Ha assunto poteri straordinari che la maggior parte degli ordinamenti democratici prevedono, il che non rende la sua gestione eticamente peggiore o migliore di quella di altri stati in guerra. Ma ora si trova di fronte a un bivio: mettere a tacere il dissenso o lasciare che si possa dire «non sono d’accordo». Soprattutto se a dirlo è qualcuno che ha combattuto al suo fianco la stessa guerra e che ha permesso diverse vittorie.

Tra gli analisti c’è chi sostiene che ora Zaluzhny inizierà la sua carriera politica. I sondaggi sembrano assegnargli una popolarità addirittura maggiore di quella di Zelensky. Anche per questo, probabilmente, il presidente ha scelto di metterlo alla porta. Senza contare che dietro le quinte c’è il capo dei Servizi segreti militari, l’imprevedibile Budanov. Non ancora così popolare, e probabilmente il suo ruolo non lo renderà mai una celebrità, ma temutissimo.

IL DILEMMA è il solito che accompagna la storia degli uomini di potere: meglio un uomo capace ma critico o un mediocre fedele? La strada imboccata ieri da Zelensky sembra orientarsi verso la seconda opzione. Ma attenzione, la storia finora ci ha insegnato che generalmente si tratta di una strada senza uscita.

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