Il cancelliere Olaf Scholz dispone di una razionalità politica e di un preciso riferimento alla storia della Germania che ai suoi alleati sembra difettare. Lo aveva già dimostrato quando in questione era la fornitura di carri armati Leopard all’Ucraina che il cancelliere aveva subordinato a una analoga decisione da parte degli Usa riguardo ai tanks Abrams. Si trattava di evitare politicamente lo schierarsi della Germania come avanguardia e apripista di una guerra dell’Occidente contro la Russia.

Lo stesso tema si ripropone oggi con il rifiuto da parte di Scholz di fornire a Kiev i missili di lunga gittata Taurus, in grado di colpire in profondità il territorio russo. L’argomento sostenuto dal cancelliere è che per addestrare i soldati ucraini all’uso di questo complesso sistema d’arma si sarebbero dovuti dislocare militari tedeschi sul territorio dell’Ucraina determinando così un coinvolgimento diretto di Berlino nella guerra e una responsabilità rispetto agli obiettivi che sarebbero stati colpiti dai missili tedeschi. Gli alleati di governo, verdi e liberali, lo contestano, sostenendo che l’addestramento potrebbe avvenire in territorio tedesco e che negare i missili a Kiev costituirebbe un grosso favore a Putin. Su questo piano “tecnico” la controversia è però pretestuosa e irrilevante.

Quel che preme al leader della socialdemocrazia è un decisivo punto politico: evitare ad ogni costo qualsiasi segnale di conflitto diretto tra Berlino e Mosca. Cercando di tenere a freno tanto l’irresponsabile retorica bellicista verde quanto lo spudorato tentativo dei liberali di servirsi della guerra per assestare un colpo al detestato sistema di Welfare. Ricorrendo peraltro alla sciagurata formula fascista che reclamava la rinuncia al burro sul pane a favore dei cannoni.

Nella scia del clima di riarmo drammatizzato e alimentato a gran voce da Ursula von der Leyen, la guerra e i suoi dintorni rappresentano per alcuni una benedizione economica che consente di rimpinguare con generose commesse pubbliche i profitti privati dell’industria bellica nella Germania in recessione, senza commettere sacrilegio nei confronti della dottrina liberale. La quale peraltro non arretra di un passo nella strenua difesa di quel “freno all’indebitamento” che imporrebbe di sottrarre al Welfare le risorse destinate all’economia di guerra.

Soprattutto i Verdi accusano Scholz di essere timido e cedevole di fronte a una potenza autocratica, la Russia putiniana, che intende solo il linguaggio della forza e che punterebbe a scardinare ogni ordine regolato dal diritto internazionale, come se questo godesse nel mondo contemporaneo di una qualche, pur minima, salute. Inoltre la reazione russa a una escalation dell’impegno occidentale in Ucraina è tutt’altro che prevedibile e facilmente sfuggirebbe di mano a qualunque forma di razionalità politica e militare in uno scacchiere instabile in balia di paure e aggressività. Putin non ha tardato nel reagire alle minacce francesi dichiarando la sua capacità di colpire obiettivi in Europa occidentale. Che la Germania non voglia essere tra i protagonisti di simili derive è più che comprensibile. Consapevole, fra l’altro, avendo vissuto la scomoda posizione di confine della Nato con l’impero sovietico, di una particolare responsabilità nel rapporto con l’Est.

Non può certo permettersi esternazioni minacciose alla Macron dalle quali il cancelliere ha preso le distanze con particolare enfasi.
Come è noto Berlino sostiene che, sulla base delle sue responsabilità storiche, la difesa dello Stato di Israele, qualunque sia la politica che conduca e le azioni brutali che metta in atto, appartiene alla stessa “ragion di stato” della Bundesrepublik. Con tutti i dovuti distinguo l’impedire ad ogni costo una guerra con la Russia, anche se colpevole di invasione di un paese vicino, è, seppur tacitamente, un altro aspetto di questa responsabilità storica e geografica al tempo stesso.

La Ostpolitik socialdemocratica degli anni Sessanta e Settanta era il frutto di questa consapevolezza oltre che dell’impossibilità di immaginare un futuro per la Germania sulla base di un eterno stato di belligeranza, sia pur fredda, tra Est e Ovest, che precludeva a Berlino il suo naturale orizzonte continentale. I verdi accusano oggi Scholz di manifestare timore nei confronti del Cremlino alimentando così l’aggressività e gli appetiti territoriali di Putin, ma questo “timore”, che coincide poi con la ricerca di un solido argine all’imperialismo russo diverso dalla terza guerra mondiale, è forse ciò che può salvare l’Europa dalle pulsioni avventuriste della “Nato dell’Est” o dall’essere pedina (o scartina) di una imprevedibile prossima ventura politica americana.