Ultimamente il governo ungherese si è dovuto confrontare con due situazioni delicate: la prima, relativa a casi di pedofilia coperti dal potere, ha portato alle dimissioni della presidente Katalin Novák e all’uscita di scena dalla vita pubblica della ex ministra della Giustizia Judit Varga. La seconda ha invece a che vedere con registrazioni contenenti accuse di corruzione a personaggi del sistema al potere e ha determinato l’ascesa politica di Péter Magyar. Ex del partito governativo Fidesz, Magyar è ora leader di Tisza, soggetto politico che è secondo nei sondaggi per il voto di Bruxelles, in predicato di entrare nei Popolari europei. Nella sua campagna elettorale, oltre alla guerra alla corruzione, si presenta come pacificatore del paese contro il primo ministro divisivo e le sue politiche dell’odio.

MA ANDIAMO con ordine: le forze governative guidate da Viktor Orbán procedono verso il duplice appuntamento elettorale del fine settimana – europee e amministrative – ostentando fiducia. Tra i temi centrali della campagna orbániana trova posto quello della guerra in Ucraina. Tema che era stato utilizzato con profitto due anni fa, alle legislative. In quella circostanza il premier aveva chiarito che quel conflitto non riguardava l’Ungheria e che il compito del governo da lui presieduto era quello di tenere il paese lontano da esso e dai suoi orrori. «Gli ungheresi non devono pagare il prezzo di una guerra che non li riguarda», aveva detto il leader in difesa degli interessi nazionali e dell’incolumità degli ungheresi. Più recentemente Orbán avrebbe inoltre precisato che a Bruxelles vi sono dei gruppi di lavoro che stanno agendo per far sì che la Nato possa partecipare alla guerra russo-ucraina.

PER IL RESTO LA RETORICA di Orbán, particolarmente efficace nei centri rurali, fa perno su quello che secondo lui e i suoi sono i fallimenti della Commissione europea uscente: politiche migratorie, crisi in Ucraina, aspetti economici, giusto per citare le voci principali.
Per il capo del Fidesz quella del federalismo europeo è un’idea destinata al fallimento; a suo avviso il rinnovamento della famiglia europea può essere affidato solo alla libertà di stati sovrani, liberi dalle ingerenze della odiata tecnocrazia liberale e progressista di Bruxelles e pienamente padroni del loro destino. Insomma patrie libere di conservare la loro identità e di non vederla minacciata da manipolatori del capitale globale, che avrebbero il loro braccio esecutivo nelle Ong, e da frotte di migranti musulmani. Perché per Orbán l’identità culturale europea è inequivocabilmente cristiana. E il sistema di potere di cui è anima e principio ispiratore non vuole migranti sul suolo ungherese.

UNO DEI VANTI di Orbán, forse il suo principale motivo di orgoglio, è quello di essere riuscito a tenere testa a Bruxelles, di aver difeso il principio di sovranità nazionale. Cosa che gli sta a cuore; «non vogliamo che l’Ue si trasformi in un superstato», aveva detto; un superstato capace di imporre pratiche e visioni livellanti. Invece l’“uomo forte” d’Ungheria può dire di aver sottratto il suo paese alla diffusione di valori estranei alla spiritualità magiara, alla dittatura delle ideologie gender e alla bugia del cosmopolitismo.

Da luglio a dicembre l’Ungheria avrà la presidenza di turno del Consiglio degli stati membri, e a Bruxelles in parecchi dormono sonni poco tranquilli per il timore che durante il semestre europeo Orbán possa ostacolare i processi concepiti da Bruxelles a favore dell’Ucraina (compresi i negoziati di adesione) e contro la Russia.

Secondo previsioni menzionate dal portale index.hu, il partito governativo Fidesz potrebbe ottenere 11 seggi, uno in meno di quelli ottenuti cinque anni fa, 6 Tisza e 4 il gruppo di centro e centro-sinistra costituito da Coalizione Democratica (Dk), socialisti (Mszp) e Dialogo per l’Ungheria (Párbeszéd Magyarországért, Pm). Allo stato attuale dei sondaggi Tisza potrebbe dunque diventare il secondo partito del paese; su di esso convergono le speranze di chi vorrebbe un cambiamento.

SI VOTA PURE per le amministrative, a Budapest, dove si prevede che venga rieletto il sindaco uscente Gergely Karácsony (Pm) ma con prospettive di governo meno agevoli di prima, e nel resto del paese.

Per l’opposizione, di centro, centro-sinistra e liberale, sarebbe importante conservare quello che ha: 15 distretti di Budapest e 11 capoluoghi, e magari anche ottenere qualcosa di più, ma diversi esperti nutrono dei dubbi, specie su quest’ultimo punto, e argomentano che l’opposizione democratica non è sufficientemente coesa e organizzata, e questo è uno dei suoi numerosi punti deboli.