Ucraina, dalla parte delle vittime e della pace
Opinioni Estendere le sanzioni, non possiamo rinunciare all’embargo di gas e petrolio anche se costituisce un sacrificio rilevante per il paese
Opinioni Estendere le sanzioni, non possiamo rinunciare all’embargo di gas e petrolio anche se costituisce un sacrificio rilevante per il paese
Di chi scrive queste righe, di chi le pubblica, ma anche – ne sono profondamente convinto – della grande maggioranza del popolo italiano. Stiamo dalla parte delle vittime. Vittime dell’aggressione alla propria terra, delle violenze, delle torture, degli stupri, anche delle leve forzate, delle censure da chiunque e contro chiunque perpetrate.
Una posizione pacifista, soltanto etica o di principio, che elude la politica? Non direi. Basta indicare, con nome e cognome ove possibile, i nostri avversari. Sono coloro che hanno compiuto questi misfatti, ma anche coloro che ne favoriscono o consentono il prolungamento nel tempo. La Russia di Putin che ha aggredito e continua ad aggredire l’ Ucraina, ma anche il presidente Biden che, definendo il suo collega russo macellaio, da rimuovere dalla posizione che occupa e da deferire alla giustizia internazionale, di fatto ne perpetua il potere e prolunga la stessa guerra.
SIAMO SCHIERATI con le vittime, le vittime di tutte le guerre, anche e soprattutto di quelle, ugualmente illegali, che il nostro governo ha condotto o a cui ha fornito armi nella scia altrui, in Iraq, in Libia, in Siria, nello Yemen. Ce ne accorgiamo soltanto ora perché questa volta le vittime sono collocate sotto i nostri occhi, sono europei come noi, difendono una Terra che riconosciamo come nostra; che non intendiamo abbandonare alla mercé di due potenze in declino che, pur in conflitto tra loro, consolidano il proprio potere connivente in una casa europea che è anche nostra.
Ne conseguono alcuni precisi doveri, in nome dei quali sollecitare, eventualmente contrastare, il governo Draghi allo scopo di far cessare il massacro in corso. Proprio in questa fase, che non sembra offrire la speranza nemmeno di una sospensione delle ostilità, il nostro criterio è quello di osteggiare tutte quelle misure che allontanano una tregua, come, ad esempio, quella dell’espulsione di diplomatici russi dal proprio paese. Occorre, invece, sostenere ed estendere sanzioni che rendono più costoso per l’aggressore la prosecuzione di una guerra che invera il sogno non tanto nascosto di Biden: un’altra Afghanistan, questa volta sul groppone del suo omologo al Cremlino.
SOPRATTUTTO, COME ha giustamente affermato Norma Rangeri (il manifesto, 5 aprile), non possiamo rinunciare all’unica sanzione di pronta e rilevante efficacia – quella del divieto di acquisto del suo gas e petrolio – nei confronti della Russia. Anche se quella sanzione costituisce un sacrificio rilevante – per la dipendenza energetica nostra e soprattutto della Germania – che si traduce in un regalo economico al nostro alleato di Washington, non può essere surrogato con ulteriori invii di armi che, invece, prolungano la guerra.
OCCORRE, PIUTTOSTO predisporre un piano europeo di condivisione dell’onere derivante da una scelta politica, analogo a quello, pure necessario, di accoglienza degli immigrati in fuga da questa e da qualunque guerra, indipendentemente dal colore della loro pelle e del loro passaporto.
IN SECONDO LUOGO, occorre attivare tutti gli strumenti a disposizione delle Nazioni Unite, comunque essenziali per porre fine allo stato di guerra. La richiesta di esclusione della Russia dal Consiglio di Sicurezza da parte del presidente Zelensky è comprensibilmente provocatoria, ma anche controproducente ai fini della cessazione delle ostilità, mentre la pur sacrosanta lotta per l’eliminazione del diritto di veto dei cinque membri permanenti ha tempi ed esito non prevedibili. Invece, il ricorso alla risoluzione “Uniting for peace” da parte dell’Assemblea Generale costituirebbe una necessaria sollecitazione nei confronti dello stesso Consiglio di Sicurezza che, con un ruolo più attivo della Cina e dell’India, potrebbe, in un secondo tempo, diventare una sede di discussione e di successiva conferma ed attuazione di un accordo tra gli stati contendenti.
Quanto al ricorso a tribunali di guerra, diversamente invocati sia dagli Stati Uniti sia dalla Russia, nel momento attuale si traduce in una retorica tesa a prolungare la guerra. Gli stati europei, in primo luogo l’Italia, che hanno avuto un ruolo decisivo nella costituzione della Corte Penale Internazionale dell’Aja, potrebbero rispondere con un invito alla Russia e agli Stati Uniti a decidere finalmente di aderirvi. Paradossalmente, non è difficile delineare gli elementi di un accordo di pace che talora appaiono nelle dichiarazioni di Zelensky e nella versione meno truculenta degli obiettivi di guerra russi. Quella di una Ucraina neutrale e libera di dotarsi di una difesa adeguata, su modello finlandese o austriaco, partecipe a pieno titolo dell’Unione europea, ma non della Nato, e disposta a riconoscere il principio di autodeterminazione dei popoli del Donbas.
UNA PRESA DI POSIZIONE esplicita del Consiglio dell’Unione in questo senso, che seguisse l’esempio del suo Parlamento – specie per quanto attiene alla decisione di sua diretta competenza: la pronta ammissione dell’Ucraina quale stato membro – costituirebbe un passo importante verso una soluzione diplomatica del conflitto, nell’interesse delle sue vittime.
Purtroppo, una fredda analisi degli interessi in campo lascia poco spazio per una simile conclusione, se non dopo l’accumularsi di altre tragedie. Per ora Putin miete consensi in Russia grazie alla guerra. Il nuovo Afghanistan consente nell’immediato a Biden di rilanciare la presa della Nato, altrimenti obsoleta, in Europa, dissanguare la Russia ed, eventualmente, d’incassare il bonus di vendite energetiche a caro prezzo. Soltanto l’Unione europea avrebbe interesse, oltre che dovere, a far cessare il conflitto in atto. Ma se ne renderanno conto i suoi governanti, trovando il coraggio di agire di conseguenza?
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